È una delle piante più coltivate nell'area mediterranea fin dai tempi arcaici, tant'è vero che figura nelle pitture delle tombe dei faraoni.
Gli Egizi ne facevano largo consumo. Erodoto ricorda di aver rinvenuto sulla piramide di Cheope un'iscrizione che riportava quanto era stato speso in ravanelli, cipolle e aglio per chi vi aveva lavorato: "se ben ricordo quello che mi diceva l'interprete decifrando l'iscrizione, la somma spesa si aggirava intorno ai 1600 talenti d'argento".
In Grecia era consacrata alla dea Latona, madre di Apollo e di Artemide, una delle personificazioni della Grande Madre che si dice la avesse in grande considerazione perché quando era incinta solo la cipolla riuscì a stimolarle l'appetito. I pitagorici se ne astenevano perché al contrario di tutte le altre piante cresceva quando la luna è calante ed eccitava la sensualità. Marziale riprendeva così, in modo efficace ed ironico queste propietà:
"Quando hai moglie vecchia e membro molle
non ti resta che mangiar cipolle".
Nella cucina araba è largamente impiegata anche se un detto del profeta Muhammad ne sconsiglia l'uso, come pure quello dell'aglio, quando ci si deve recare alla moschea.
Fin dal Medioevo era considerata il cibo della miseria, cosicché "mangiare pane e cipolla" era un espressione che indicava il trovarsi in povertà. Divenne dunque naturale associare la cipolla alla penitenza quaresimale, lo ricorda anche Antonio Pucci, poeta fiorentino del XIV secolo:
"Di quaresima poi agli e cipolle
e pastinache sonvi e non più carne
siccom'a Santa Chiesa piacque e volle".
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