mercoledì 28 giugno 2017

VOLEMOSE BENE - SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO



Quando si parla di Italia nel sentimento comune affiorano idee quali Bellezza, Arte, cucina; ma più in generale di uno “stile di vita” che attraverso i secoli ha saputo recepire, applicare e tramandare, un modello con alla base un patrimonio sapienziale che non poteva non avere il suo Centro di irraggiamento terreno in quella Autorità spirituale che per l’Occidente era in parte rappresentata dal Vescovo di Roma. Italia quindi come crocevia spirituale e culturale che sapeva fare tesoro di tutto quanto incontrava fin dall’epoca dell’Impero; che sapeva mettere a frutto per un bene comune più diffuso ispirato da i suoi Santi e Poeti. A questo punto non vorremmo però esser accusati di essere troppo “bucolici”, idealisti, sulla scorta magari di una mentalità denigratoria del passato diffusa da certi “professori” che del Medioevo hanno solo cercato di proporre aspetti che facendo parte della natura umana sono presenti in ogni fase storica e certo non solo e in modo maggiore in quell’epoca, anzi! Per questo anche se non strettamente collegato al cibo e alla cucina, ma più in generale a quello “stile di vita” a cui abbiamo fatto riferimento, proponiamo questo estratto di The Overworked American, Il declino imprevisto del tempo libero, di Juliet B. Schor che per chi ha un minimo di obiettività e sa cogliere gli aspetti essenziali delle cose, mostra come è in corso da anni un’agguerrita opera di  devastazione e distruzione di una vita che ha la sola colpa di essere a misura d’uomo e che prevede ancora un'agricoltura con i contadini.



ERA MEGLIO LAVORARE NEL MEDIOEVO
Tratto da:  The Overworked American, Il declino imprevisto del tempo libero, di Juliet B. Schor.

 Il lavoratore si prenderà un lungo riposo al mattino; buona parte del giorno sarà trascorsa prima che venga al suo lavoro; poi deve fare colazione, come se non l’avesse fatta alla sua ora solita o altrimenti ci sono musi lunghi e mugugni; quando scocca l’ora abbandonerà il suo carico in mezzo alla strada e qualsiasi cosa stia facendo l’abbandonerà al suo stato, anche se molte volte si è guastata prima che torni; non può trascurare il suo pasto, qualsiasi pericolo incomba sulla sua opera. A mezzogiorno deve fare la pennichella, poi la sua bevutina nel pomeriggio, che consuma gran parte del giorno; e quando a sera arriva l’ora, al primo tocco dell’orologio getta i suoi arnesi e lascia il lavoro in qualsiasi stato o necessità si trovi”.

James Pilkington, Vescovo di Durham, circa 1570


Uno dei miti più duraturi del capitalismo è che avrebbe ridotto la fatica umana. Questo mito è solitamente difeso paragonando la moderna settimana lavorativa di quaranta ore con la sua omologa di settanta o ottanta ore nel diciannovesimo secolo. Il presupposto implicito -ma raramente espresso chiaramente- è che per secoli era prevalso lo standard di ottanta ore. Il paragone evoca la triste vita del contadino medievale, all’opera dall’alba al tramonto. Ci viene chiesto di immaginare l’artigiano specializzato in una soffitta fredda e umida che si alza prima del levar del sole e lavora alla luce di candela fino a tardi la notte.
Queste immagini sono proiezioni nel passato di modelli di lavoro moderni. E sono false. Prima del capitalismo la maggior parte delle persone non lavorava per nulla molto a lungo. Il ritmo della vita era lento, persino tranquillo; il ritmo del lavoro rilassato. I nostri antenati possono non essere stati ricchi, ma avevano abbondanza tempo libero. Quando il capitalismo ha aumentato i loro redditi, si è anche preso il loro tempo. In realtà ci sono buoni motivi per ritenere che le ore lavorative a metà del diciannovesimo secolo costituiscano lo sforzo lavorativo più prodigioso dell’intera storia del genere umano.
Dobbiamo, perciò, assumere una prospettiva più a lungo termine e guardarci indietro non di soli cento anni, ma di tre, quattro, persino sei o settecento anni. Si consideri l’ordinaria giornata di lavoro nel periodo medievale. Andava dall’alba al tramonto (sedici ore in estate e otto in inverno), ma, come ha osservato il vescovo Pilkington, il lavoro era intermittente; prevedeva una sosta per colazione, per pranzo e per il consueto sonnellino pomeridiano, e per cena. A seconda del tempo e del luogo, c’erano anche pause per spuntini di metà mattina e metà pomeriggio. Questi periodi di riposo erano diritti tradizionali dei lavoratori, di cui godevano anche al picco dell’epoca del raccolto. Nei periodi di rallentamento, che costituivano gran parte dell’anno, il rispetto di orari regolari di lavoro non era usuale. Secondo il professore di Oxford James E. Thorold Rogers, la giornata lavorativa medievale non durava più di otto ore. I lavoratori che parteciparono al movimento per le otto ore alla fine del diciannovesimo secolo non fecero che “battersi semplicemente per recuperare l’orario di lavoro dei loro antenati di quattro o cinque secoli addietro”.
Un elemento importante di prova a proposito della giornata lavorativa è che era molto insolito che ai lavoratori servili fosse chiesto di lavorare una giornata intera per un signore. Una giornata di lavoro era considerata metà di un giorno e se un servo lavorava un giorno intero ciò era conteggiato come “due giorni di lavoro”. Sono disponibili resoconti dettagliati della giornata lavorativa degli artigiani. Dai dati di Knoop e Jones sul quattordicesimo secolo risulta una media annua di nove ore (esclusi pasti e le pause). I dati di Brown, Colwin e Taylor relativi ai muratori suggeriscono una giornata lavorativa media di 8,6 ore.

Il contrasto tra i modelli lavorativi capitalista e precapitalista sono assolutamente impressionanti riguardo all’anno lavorativo. Il calendario medievale era pieno di festività. Le feste ufficiali -cioè religiose- includevano non soltanto lunghe “vacanze” a Natale, Pasqua e a mezza estate, ma anche numerosi giorni dei santi e di riposo. Erano trascorsi sia in sobrie frequentazioni della chiesa sia in festeggiamenti, bevute e divertimenti. In aggiunta alle celebrazioni ufficiali, c’erano spesso settimane di astensione dal lavoro, per segnare eventi importanti della vita (nozze e funerali) così come eventi di minore importanza (inaugurazione di taverne, feste di Pentecoste, feste della birra [l’autrice utilizza qui termini, probabilmente medievali, di cui non ho potuto rintracciare il significato; la traduzione è largamente intuitiva – n.d.t.). Tutto considerato, il tempo libero per le feste nell’Inghilterra medievale occupava probabilmente un terzo dell’anno.  Dell’ancien régime francese è riferito che garantiva cinquantadue domeniche, novanta giorni di riposo e trentotto festività. In Spagna viaggiatori segnalarono che le feste coprivano in totale cinque mesi ogni anno.
Il tempo libero del contadino si estendeva oltre le feste sanzionate ufficialmente. Esistono prove considerevoli di quella che gli economisti la curva retrograda della domanda di lavoro, l’idea che quando i salari aumentano i lavoratori offrono meno lavoro. Durante un periodo di salari insolitamente alti (la fine del quattordicesimo secolo) molti lavoratori si rifiutarono di lavorare “per un anno, un semestre o per qualsiasi altro periodo consueto, ma solo a giornata”.  E lavoravano soltanto per i giorni necessari a guadagnare il loro reddito abituale, che in questo caso corrispondeva a circa 120 giorni di lavoro l’anno, per un totale probabile di sole 1.440 ore l’anno (questa stima presume una giornata di dodici ore, perché le giornate lavorate erano probabilmente quelle primaverili, estive e autunnali). Una stima del tredicesimo secolo rileva che intere famiglie contadine non dedicavano alla loro terra più di 150 giorni l’anno. Dati feudali dell’Inghilterra del quattordicesimo secolo indicano un anno lavorativo estremamente breve -175 giorni- per i lavoratori servili. Evidenze successive relative a coltivatori-minatori, un gruppo che aveva il controllo del proprio orario lavorativo, indicano che lavoravano solo 180 giorni l’anno.


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