Quando si parla di
Italia nel sentimento comune affiorano idee quali Bellezza, Arte, cucina; ma
più in generale di uno “stile di vita” che attraverso i secoli ha saputo recepire,
applicare e tramandare, un modello con alla base un patrimonio sapienziale che non
poteva non avere il suo Centro di irraggiamento terreno in quella Autorità
spirituale che per l’Occidente era in parte rappresentata dal Vescovo di Roma.
Italia quindi come crocevia spirituale e culturale che sapeva fare tesoro di
tutto quanto incontrava fin dall’epoca dell’Impero; che sapeva mettere a frutto
per un bene comune più diffuso ispirato da i suoi Santi e Poeti. A questo punto
non vorremmo però esser accusati di essere troppo “bucolici”, idealisti, sulla
scorta magari di una mentalità denigratoria del passato diffusa da certi “professori”
che del Medioevo hanno solo cercato di proporre aspetti che facendo
parte della natura umana sono presenti in ogni fase storica e certo non solo e
in modo maggiore in quell’epoca, anzi! Per questo anche se non strettamente
collegato al cibo e alla cucina, ma più in generale a quello “stile di vita” a
cui abbiamo fatto riferimento, proponiamo questo estratto di The
Overworked American, Il declino imprevisto del tempo libero, di Juliet B. Schor
che per chi ha un minimo di obiettività e sa cogliere gli aspetti
essenziali delle cose, mostra come è in corso da anni un’agguerrita opera di devastazione e distruzione di una vita che
ha la sola colpa di essere a misura d’uomo e che prevede ancora un'agricoltura con i contadini.
ERA MEGLIO LAVORARE NEL MEDIOEVO
Tratto da: The
Overworked American, Il declino imprevisto del tempo libero, di Juliet B.
Schor.
“Il
lavoratore si prenderà un lungo riposo al mattino; buona parte del giorno sarà
trascorsa prima che venga al suo lavoro; poi deve fare colazione, come se non
l’avesse fatta alla sua ora solita o altrimenti ci sono musi lunghi e mugugni;
quando scocca l’ora abbandonerà il suo carico in mezzo alla strada e qualsiasi
cosa stia facendo l’abbandonerà al suo stato, anche se molte volte si è
guastata prima che torni; non può trascurare il suo pasto, qualsiasi pericolo
incomba sulla sua opera. A mezzogiorno deve fare la pennichella, poi la sua
bevutina nel pomeriggio, che consuma gran parte del giorno; e quando a sera
arriva l’ora, al primo tocco dell’orologio getta i suoi arnesi e lascia il
lavoro in qualsiasi stato o necessità si trovi”.
James Pilkington, Vescovo di Durham, circa 1570
Uno dei miti più
duraturi del capitalismo è che avrebbe ridotto la fatica umana. Questo mito è
solitamente difeso paragonando la moderna settimana lavorativa di quaranta ore
con la sua omologa di settanta o ottanta ore nel diciannovesimo secolo. Il
presupposto implicito -ma raramente espresso chiaramente- è che per secoli era
prevalso lo standard di ottanta ore. Il paragone evoca la triste vita del
contadino medievale, all’opera dall’alba al tramonto. Ci viene chiesto di
immaginare l’artigiano specializzato in una soffitta fredda e umida che si alza
prima del levar del sole e lavora alla luce di candela fino a tardi la notte.
Queste immagini
sono proiezioni nel passato di modelli di lavoro moderni. E sono false. Prima
del capitalismo la maggior parte delle persone non lavorava per nulla molto a
lungo. Il ritmo della vita era lento, persino tranquillo; il ritmo del lavoro
rilassato. I nostri antenati possono non essere stati ricchi, ma avevano
abbondanza tempo libero. Quando il capitalismo ha aumentato i loro redditi, si
è anche preso il loro tempo. In realtà ci sono buoni motivi per ritenere che le
ore lavorative a metà del diciannovesimo secolo costituiscano lo sforzo
lavorativo più prodigioso dell’intera storia del genere umano.
Dobbiamo,
perciò, assumere una prospettiva più a lungo termine e guardarci indietro non
di soli cento anni, ma di tre, quattro, persino sei o settecento anni. Si
consideri l’ordinaria giornata di lavoro nel periodo medievale. Andava
dall’alba al tramonto (sedici ore in estate e otto in inverno), ma, come ha
osservato il vescovo Pilkington, il lavoro era intermittente; prevedeva una
sosta per colazione, per pranzo e per il consueto sonnellino pomeridiano, e per
cena. A seconda del tempo e del luogo, c’erano anche pause per spuntini di metà
mattina e metà pomeriggio. Questi periodi di riposo erano diritti tradizionali
dei lavoratori, di cui godevano anche al picco dell’epoca del raccolto. Nei
periodi di rallentamento, che costituivano gran parte dell’anno, il rispetto di
orari regolari di lavoro non era usuale. Secondo il professore di Oxford James
E. Thorold Rogers, la giornata lavorativa medievale non durava più di otto ore.
I lavoratori che parteciparono al movimento per le otto ore alla fine del
diciannovesimo secolo non fecero che “battersi semplicemente per recuperare
l’orario di lavoro dei loro antenati di quattro o cinque secoli addietro”.
Un elemento
importante di prova a proposito della giornata lavorativa è che era molto
insolito che ai lavoratori servili fosse chiesto di lavorare una giornata
intera per un signore. Una giornata di lavoro era considerata metà di un giorno
e se un servo lavorava un giorno intero ciò era conteggiato come “due giorni di
lavoro”. Sono disponibili resoconti dettagliati della giornata lavorativa degli
artigiani. Dai dati di Knoop e Jones sul quattordicesimo secolo risulta una
media annua di nove ore (esclusi pasti e le pause). I dati di Brown, Colwin e
Taylor relativi ai muratori suggeriscono una giornata lavorativa media di 8,6
ore.
Il contrasto tra
i modelli lavorativi capitalista e precapitalista sono assolutamente
impressionanti riguardo all’anno lavorativo. Il calendario medievale era pieno
di festività. Le feste ufficiali -cioè religiose- includevano non soltanto
lunghe “vacanze” a Natale, Pasqua e a mezza estate, ma anche numerosi giorni
dei santi e di riposo. Erano trascorsi sia in sobrie frequentazioni della
chiesa sia in festeggiamenti, bevute e divertimenti. In aggiunta alle celebrazioni
ufficiali, c’erano spesso settimane di astensione dal lavoro, per segnare
eventi importanti della vita (nozze e funerali) così come eventi di minore
importanza (inaugurazione di taverne, feste di Pentecoste, feste della birra
[l’autrice utilizza qui termini, probabilmente medievali, di cui non ho potuto
rintracciare il significato; la traduzione è largamente intuitiva – n.d.t.).
Tutto considerato, il tempo libero per le feste nell’Inghilterra medievale
occupava probabilmente un terzo dell’anno.
Dell’ancien régime francese è riferito che garantiva cinquantadue
domeniche, novanta giorni di riposo e trentotto festività. In Spagna
viaggiatori segnalarono che le feste coprivano in totale cinque mesi ogni anno.
Il tempo libero
del contadino si estendeva oltre le feste sanzionate ufficialmente. Esistono
prove considerevoli di quella che gli economisti la curva retrograda della
domanda di lavoro, l’idea che quando i salari aumentano i lavoratori offrono
meno lavoro. Durante un periodo di salari insolitamente alti (la fine del
quattordicesimo secolo) molti lavoratori si rifiutarono di lavorare “per un
anno, un semestre o per qualsiasi altro periodo consueto, ma solo a
giornata”. E lavoravano soltanto per i
giorni necessari a guadagnare il loro reddito abituale, che in questo caso
corrispondeva a circa 120 giorni di lavoro l’anno, per un totale probabile di
sole 1.440 ore l’anno (questa stima presume una giornata di dodici ore, perché
le giornate lavorate erano probabilmente quelle primaverili, estive e autunnali).
Una stima del tredicesimo secolo rileva che intere famiglie contadine non
dedicavano alla loro terra più di 150 giorni l’anno. Dati feudali
dell’Inghilterra del quattordicesimo secolo indicano un anno lavorativo
estremamente breve -175 giorni- per i lavoratori servili. Evidenze successive
relative a coltivatori-minatori, un gruppo che aveva il controllo del proprio
orario lavorativo, indicano che lavoravano solo 180 giorni l’anno.
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