"Di tutte le regole ascetiche, quella
relativa all'assumere cibo sattvico
in quantità moderate è la migliore; osservando questa regola la qualità sattvica della mente aumenta e questo
aiuterà l'auto-osservazione"*.
Questa nobile citazione mi perpette di introdurre un nuovo capitolo dedicato all'alimentazione tradizionale indù. Premesso che sattva è uno dei guna (attributi principiali della sostanza universale dalla cui commistione traggono origine le caratteristiche psichiche e corporee dell'essere), occorre non scordare mai, quando si considera il nutrimento secondo la prospettiva tradizionale, che siccome si diviene effettivamente quello che si mangia (e si pensa) certi cibi favoriscono delle tendenze piuttosto che altre, quindi non è casuale che vengano accolti con favore o rifiutati, a seconda che elivino o mortifichino le possibilità spirituali dell'uomo e ciò a prescindere da considerazioni su "proprietà nutrizionali", da valutazioni "scientifiche", sociali e commerciali. Prendiamone ad esempio alcuni che oggi sono molto diffusi.
*(Sri Ramanarpanam Astu)
*(Sri Ramanarpanam Astu)
Vino e bevande inebrianti
Vino, madya; bevande inebrianti, madira: è fatto divieto, anche in stato
di necessità, di vendere vino (Manu IX,235). Bere liquore è considerato un
grande crimine così come frequentare chi lo fa (Manu XI,55), per gli [iniziati]
appartenenti alle tre classi dei nati due volte, ingerire anche involontariamente
qualche cosa toccato da un liquore comporta il sottoporsi nuovamente al rituale
della trasformazione [iniziazione] (Manu XI, 151).
Il rifiuto delle
bevande alcoliche risponde alla duplice esigenza di non consentire che lo stato
di ebbrezza sottragga all’uomo il controllo del suo corpo e a quella di non
violare l’ahimsa (non violenza), infatti il processo
di fermentazione inevitabilmente causa la morte di esseri animati e ciò
costituisce una rottura dell’equilibrio che consente all’uomo di essere in
armonia col creato.
Carne
La cucina indù non
prevede l’uso della carne, ma ciò non di meno se ne può mangiare se la sua provenienza
è il sacrificio, quindi a rigore non si può dire che sia una dieta rigorosamente vegetariana; ad esempio
il rituale mensile per gli antenati prevede l’utilizzo di polpette fatte con la
carne raccomandata. Ma nelle Leggi di Manu si legge che “non esiste malfattore
peggiore della persona che, senza riverire gli dei e gli antenati, desidera far
crescere la propria carne con la carne altrui” (V, 52).
La carne dunque che ha
una indubbia rilevanza rituale, proprio per questo va usata con cautela perché
fuori dall’ambito sacrificale è un viatico di passione e ignoranza e testimonia
del decadimento dell’uomo dalla condizione originaria di armonia cosmica, quella che con parole occidentali si può definire edenica.
Latte e burro
“Il saggio che è libero da ogni passione, conosce la felicità trascendentale dell'Atman anche incarnato, in cui la parola
si ritira nella mente senza esprimersi esternamente (25). Questa felicità
estatica non e altro che l'Atman-Brahman che pervade l'intero universo, come il
burro pervade il latte (26). Cosi termina la Brahma Upanishad, la
suprema saggezza del Brahman, nella forma dell'unita dell'Atman in tutti,
fondata sulla disciplina spirituale (tapas) che consiste nella
conoscenza (vidya), la scienza dell'Atman”.
Dopo aver studiato i Veda, la
persona intelligente che desidera soltanto acquisire la conoscenza e la
realizzazione deve lasciare i Veda stessi, come chi vuole ottenere il
riso deve eliminare la crusca (18). Anche se le mucche hanno colore diverso, il
latte e sempre dello stesso colore. La persona intelligente comprende che la
conoscenza e come il latte e le diverse ramificazioni della conoscenza vedica
sono come diverse mucche (19). Come il burro che è nascosto nel latte, la pura
Consapevolezza si trova in ogni essere vivente. Deve essere costantemente
frullata nella zangola della mente (20).
[Amrita bindu Upanishad]
[Amrita bindu Upanishad]
La Sandilya Upanishad asserisce che “la dieta migliore
per questa pratica è basata su alimenti con latte e burro chiarificato, che aiutano
ad evitare l'eccesso di calore nel corpo (1.22). Come si possono domare
gradualmente leoni, tigri ed elefanti, cosi si può domare anche il respiro, che
altrimenti ucciderebbe lo Yogi (1.23)”.
Inoltre come si vede da questo menù
contenuto nella Yoga tattva Upanishad “Lo Yogi deve evitare accuratamente i
cibi inadatti alla sua pratica: sale e spezie (specialmente la senape), le
verdure amare, gli alimenti acidi, piccanti e pungenti come aglio e cipolla. I
cibi consigliati sono a base di latte e burro chiarificato, frumento, soia
verde e riso. Deve evitare di digiunare, fare il bagno al tramonto, frequentare
la compagnia di donne e compiere rituali del fuoco. Seguendo queste regole
diventerà capace di trattenere il respiro molto a lungo (46-49).
In questi come in altri passaggi dei testi sacri indù si fa riferimento allo
Yogi (il Realizzato, colui che è pervenuto all'Unione col Sé), alla casta dei Brahmani (i Sacerdoti), insomma a coloro che occupano i posti più elevati nell'organizzazione sociale indù e dunque ambiscono
alla Liberazione e alla realizzazione della pienezza dello stato umano, quindi
si potrebbe dire che queste indicazioni sono per loro, per questa esigua minoranza. Eppure se consideriamo la nostra semenza, tutti, anche solo per una sparuta
scintilla che rifulge nel profondo di ogni essere, possono concordare con Dante sul
fatto che fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Consumare dunque il latte che in sé porta il burro e si trasforma in esso ad immagine dell'Essere Supremo che nella sua continua attività creatrice si trasforma negli esseri contingenti, sembra proprio preferibile al consumo di bevande inebrianti che esaltano viceversa aspetti inferi e alimentano le passioni. Così come consumare riso è sicuramente meglio che "espandersi" nella manifestazione, come comporta l'uso della carne, perché interrompere il flusso delle trasmigrazioni da una forma all'altra è lo scopo dell'uomo che sa che in ogni caso deve fare ritorno al suo Principio.
Si può constatare così che sono molto differenti le regole che dettano i menù, a seconda dei fini che attraverso questi ci si propone di raggiungere.
Si può constatare così che sono molto differenti le regole che dettano i menù, a seconda dei fini che attraverso questi ci si propone di raggiungere.
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