lunedì 5 giugno 2017

VOLEMOSE BENE - SOVRANITÁ ALIMENTARE



Troppo spesso si confondono le priorità e quindi si inverte il valore che si da alle cose; l'agricoltura ad esempio è stata bistrattata nelle politiche economiche degli ultimi decenni, scordando che dalla terra viene l'alimento. Ma forse anche questo fa parte delle "iniziative" volte a creare soggezione e dipendenza della gente nei confronti di chi governa.



Agricoltura e alimentazione, nomi al femminile

Di Esther Vivas

Quando parliamo di cibo e agricoltura, raramente facciamo riferimento al ruolo fondamentale che le donne hanno nella produzione, distribuzione e nel consumo di alimenti. Come tutti i lavori accurati, il cibo è stato relegato segmento dell’invisibile. Ma l’agricoltura e l’alimentazione hanno nomi femminili, ed è imprescindibile dare valore a ciò che mangiamo e come mangiamo, facendo notare che questo è di tutti.
La coltivazione degli alimenti, soprattutto frutteti e orti di piccole dimensioni, è sempre stato il lavoro delle donne. Nei paesi del Sud, ancora oggi, tra il 60 e il 80% della produzione di cibo è nelle mani delle donne. Nonostante questo, sono proprio le donne e le ragazze – secondo i dati della Fao – che patiscono la fame: il 60 % della fame cronica le colpisce direttamente. Perché? Le donne lavorano la terra, coltivano, raccolgono frutta e verdura, ma non hanno accesso alle proprietà, al credito agricolo e, di conseguenza, non ricevono il frutto di ciò che producono.
L’attuale modello agricolo è irrazionale, non solo perché si basa sul cibo che arriva da lontano quando potremmo consumare quello di prossimità: uccide l’agricoltura locale, invece di difendere una campagna viva; scommette su un paio di varietà di colture, quando possono essere recuperati semi antichi, è dipendente da pesticidi e dagli Ogm, il che implica complicazioni per la nostra salute e il pianeta, invece di investire in agricoltura biologica. Ma condanna anche alla fame chi ha un ruolo centrale nella produzione agricola: le donne.
Eppure una nuova agricoltura al femminile è quella che si trova in molte parti del paese, dove le donne rurali, spesso giovani, capiscono che il cibo e la terra sono fondamentali per la gente. Gruppi e cooperative di consumo in cui le donne sono fattori chiave. Esperienze di utilizzo e il riciclaggio dei prodotti alimentari, “stufa mobile” e mense per i poveri, con le donne sul fronte delle nuove attività. Poi giardini urbani, occupando terreni abbandonati, grazie a una significativa presenza femminile.
Alternative per rivendicare la sovranità alimentare, la capacità di decidere, noi (i contadini e consumatori), su ciò che mangiamo. Un’alternativa che deve essere necessariamente femminista e concentrarsi sulla parità dei diritti, chiedendo l’accesso ai mezzi di produzione alimentare (terra, acqua e semi) uguali per uomini e donne.
Riprendiamo l’interesse in quello che mangiamo, da dove proviene, come è stato prodotto: diamo valore, di nuovo, a qualcosa di essenziale come l’agricoltura. Ed è responsabilità di tutti, ed è il primo passo per iniziare a cambiare le cose e rendere la nostra vita più giusta, sana e in ultima analisi vivibile.

[Nell'immagine: Betto Lotti (1894-1977), Le mondine]

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