martedì 13 giugno 2017

VOLEMOSE BENE - QUALITÁ ALIMENTARE SEQUESTRATA



 Il cibo è la prima vittima della crisi economica: infatti la difficoltà di fare fronte a tutte le spese “obblibatorie” (luce, gas, acqua, telefono/internet e tasse varie) impone necessariamente una riduzione della qualità degli alimenti che acquistiamo. Da qualunque parte la si guardi, è una situazione che va sempre a beneficio di pochi e a danno di molti. E lo scopo va ben oltre l'accumulo della ricchezza congenito al capitale; siamo al cospetto di una strategia volta a tenere "in pugno" le anime degli uomini riducendole alla sola preoccupazione per i mezzi di sussistenza.


Quanta povertà possiamo ancora sopportare?

di Esther Vivas

“Non possiamo che peggiorare”. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Pensavamo che più povertà, più insicurezza, più disoccupazione, più pignoramenti, più fame fossero impossibili. La realtà ha contraddetto questa percezione. Negli ultimi anni, le cifre e le facce della gente ci dicono che la povertà è aumentata.

Oggi, il numero di persone che vivono in estrema povertà in Spagna si situa intorno ai tre milioni. Il reddito familiare è sceso a livelli del 2001. La spiegazione è semplice quanto difficile: i ricavi sono diminuiti del 4%, mentre i prezzi sono aumentati del 10%. Questo è indicato nello studio “Desigualdad y Derechos Sociales. Análisis y Perspectivas 2013”, elaborato dalla Fundación Foessa.
I più colpiti sono i più poveri tra i poveri, i meno fortunati. Ieri una persona senza risorse, che viveva per strada a Siviglia, è morta di stenti. Prima causa è la disoccupazione, poi le difficoltà a sbarcare il lunario, il non riuscire a pagare acqua, energia elettrica, affitto o mutuo e, infine, il cibo. Il trend indica che andiamo a peggiorare. Nel 2025, si stima che il numero dei poveri, nello Stato spagnolo potrebbe aumentare di otto milioni, secondo il rapporto di Intermón Oxfam “La trampa de la austeridad” . Non si tratta solo della crisi, ma anche delle misure che si applicano per uscire dalla crisi. Austerità, tagli, diminuzione degli aiuti, la privatizzazione dei servizi pubblici, l’aumento dell’Iva … ricadono principalmente sui più deboli.
Di conseguenza, le disuguaglianze sociali sono in aumento. La differenza tra i più ricchi e i più poveri in Spagna è tra le più spiccate in Europa, inclusi i paesi colpiti duramente dalla crisi, come la Grecia, e superata solo da Lettonia, Bulgaria e Portogallo. La conclusione è chiara: pochi aumentano i loro profitti a scapito dell’impoverimento della maggioranza. La soluzione alla crisi non è imparziale o neutrale ideologicamente, risponde all’interesse delle élite politiche ed economiche che con questa situazione guadagnano molto. La nostra miseria è, né più né meno, il loro beneficio.
Possiamo andare peggio? Purtroppo, sì. La soluzione politica alla crisi, che attualmente si applica nelle periferie dell’Unione europea, è copia carbone di quelle che per decenni sono state effettuate nei paesi del sud del mondo. Si chiamano “Programmi di aggiustamento strutturale”, o “salvataggio”. La logica è la stessa e il risultato è ben noto. La dinamica centro-periferia che si è verificata negli ultimi anni a livello globale, è ora ripetuta all’interno dell’Unione.
Ma quanta povertà possiamo sopportare? Quanta miseria siamo disposti ad accettare? Fino a che punto permetteremo i tagli? La sete di guadagni del capitale non ha limiti. E i profitti possono solo aumentare l’avidità. Solo noi, la maggior parte, sono gli unici in grado di far fronte. Quando ci rendiamo conto di questo e agiremo di conseguenza, avremo vinto.

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