martedì 25 luglio 2017

VOLEMOSE BENE - COSA CONSUMARE?



La scorsa settimana ci siamo interrogati: “Sappiamo cosa mangiamo?”. Oggi proviamo a leggere una delle risposte possibili: il rifiuto del consumo globale tout court e il recupero della “capacità di decidere in merito a produzione, distribuzione e consumo, dei principali attori coinvolti in questo processo: i contadini e i consumatori”. Proprio queste ultime due categorie invece sono le grandi assenti dalla visione liberista dell’economia che le considera solo come polli d’allevamento che producono e consumano se stessi in un loop interminabile, passando dallo stato di persone a quello di cose. Se ci pensiamo bene infatti la speculazione finnanziaria dopo essersi mangiata il denaro della gente, ha cominciato a mangiare il suo cibo e ora in una foga “cannibalizzatrice”  il cui marchio la dice lunga sulle finalità che si propone, ha cominciato a mangiarsi le persone stesse, perché se ci si pensa bene, quando si introduce sul mercato un nuovo prodotto di basso valore, a farne le spese sono proprio i produttori e i consumatori defraudati. Ma questo passa il convento oggi. I gruppi e le cooperative di consumo agro-ecologici, che negli ultimi anni si sono moltiplicati ovunque, sembrano un primo passo nella direzione di riappropriarsi di ciò che per diritto naturale ci spetta: l’alimento.

Gruppi di consumo: 
recuperare la capacità di decidere cosa consumare

di Esther Vivas


Cosa mangiamo? Da dove viene, come è stato trasformato e quale prezzo paghiamo per quello che compriamo? Sono domande che sempre più cittadini consumatori si pongono. In un mondo globalizzato, dove la distanza tra contadino e consumatore si è allungata fino al punto in cui entrambi non hanno praticamente alcun impatto sulla catena alimentare, sapere quello che mettiamo in bocca importa di nuovo, e molto.

Lo dimostrano le esperienze di gruppi e cooperative di consumo agro-ecologici, che negli ultimi anni si sono moltiplicati ovunque. Si tratta di recuperare la capacità di decidere in merito a produzione, distribuzione e consumo dei principali attori coinvolti in questo processo, i contadini e i consumatori. Che in altre parole si chiama «sovranità alimentare». Ciò significa che, come implica la parola, essere «sovrani», avere la capacità di decidere quando si tratta di nostro cibo (come spiega bene Annette Aurelie Desmarais in «La via Campesina. La globalizzazione e il potere dei contadini», Jaka book).
Qualcosa che può sembrare molto semplice, ma in realtà non lo è. Dal momento che oggi il sistema agricolo e alimentare è monopolizzato da una manciata di aziende del settore alimentare e della distribuzione per imporre i propri interessi, fare affari con il cibo, contro i diritti degli agricoltori e le esigenze della gente per il cibo. Solo questo può spiegare come ci sia così tanto cibo e tante persone senza cibo. La produzione alimentare dagli anni Sessanta ad oggi è triplicata, mentre la popolazione mondiale da allora è solo raddoppiato, ma anche così, quasi 900 milioni di persone, secondo la Fao soffrono la fame. Evidentemente, qualcosa non va.

Alcune caratteristiche
I gruppi e le cooperative di consumo presentano un modello di agricoltura e di antagonismo con il potere dominante. Il loro obiettivo: accorciare la distanza tra produzione e consumo, eliminando gli intermediari, e stabilire una relazione di fiducia e di solidarietà tra le due estremità della catena, tra la campagna e la città; sostenere l’agricoltura contadina e la prossimità per la cura della nostra terra e per difendere una mondo rurale vivo con il proposito di poter vivere dignitosamente del campo; promuovere l’agricoltura biologica e di stagione, rispettosa e consapevole dei cicli della terra. Nella città, inoltre, queste esperienze aiutano a rafforzare il tessuto locale a generare comprensione reciproca e a promuovere iniziative basate sulla auto-gestione e auto-organizzazione.
In realtà, la maggior parte dei gruppi di consumatori si trovano in aree urbane, dove la distanza e la difficoltà di contattare direttamente i produttori è più grande, e così, la gente di un quartiere oppure di una città si uniscono per effettuare «consumi alternativi». Ci sono diversi modelli: quelli nei quali il produttore propone un paniere settimanale, chiuso, con frutta e verdura, o quelli in cui il consumatore può scegliere ciò che vuole consumare degli alimenti di stagione, offerti ed elencati dall’agricoltore o dagli agricoltori. Inoltre, sul piano giuridico, troviamo gruppi per lo più organizzati in associazioni e alcuni, le esperienze più consolidate e durature, in cooperative.

Un po’ di storia
... … … Oggi queste iniziative si sono consolidate e sono aumentate in modo molto significativo, un processo difficile da quantificare a causa delle loro caratteristiche.
L’aumento di queste esperienze risponde, dal mio punto di vista, a due questioni centrali. Da una parte, una preoccupazione sociale crescente su ciò che mangiamo, con la proliferazione degli scandali alimentari degli ultimi anni, come la malattia della mucca pazza, i polli alla diossina, l’influenza suina… Mangiare, e mangiare bene, importa ancora. E, dall’altra parte, la necessità di molti attivisti sociali che cercano alternative nella vita di tutti i giorni, al di là di mobilitarsi contro la globalizzazione neoliberista e i suoi creatori. Per questo, subito dopo la comparsa del movimento anti-globalizzazione e contro la guerra, nei primi anni 2000, una parte significativa di persone che hanno partecipato attivamente in questi spazi hanno promosso o sono entrati a far parte di gruppi di consumatori agro-ecologici, reti di mutualità, media alternativi, ecc.

Mangiare bene e cambiamento
Così, osserviamo due sensibilità che spesso integrano queste esperienze. Una delle scommesse, in termini generali, è «mangiare bene», dando maggior peso ai problemi di salute, un’altra scommessa, nonostante prenda in considerazione questi elementi, sottolinea ulteriormente la natura politica e trasformativa di queste iniziative. Ecco la sfida dei gruppi e delle cooperative di consumatori, pretendere cibo sano e salutare per tutti. Che implica non perdere di vista la prospettiva politica del cambiamento.
Se vogliamo che l’agricoltura sia senza pesticidi o Ogm è necessario cominciare a chiedere il divieto di colture geneticamente modificate allo Stato, porta d’entrata e paradiso degli Ogm in Europa. Se vogliamo un’agricoltura locale, che non contamini l’ambiente, con gli alimenti che percorrono migliaia di chilometri di distanza è essenziale la riforma agraria e una banca pubblica della terra, invece di speculare sul territorio occorre renderlo accessibile a coloro che vogliono vivere per lavorare la terra. In breve, o cambiamo radicalmente questo sistema oppure il «mangiare bene» diventerà un privilegio disponibile solo per chi può permetterselo.
I gruppi di consumatori sono solo un primo passo per muoversi verso «un’altra agricoltura e altri prodotti alimentari», ma bisogna andare oltre e mettere in discussione il sistema politico ed economico che sostiene il modello agricolo attuale. Il cibo, come la casa, la salute, l’educazione… non si vende, si difende.

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