mercoledì 12 luglio 2017

TRADIZIONE E CIBO - GIRASOLE














Portami tu la pianta che conduce
Dove sorgono bionde trasparenze
E vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.



Il girasole è originario delle americhe, fu scoperto in Perù nel XVI secolo dal conquistador spagnolo Hernando Pizarro che portò i semi in Spagna per farne dono a Federico II.
Malgrado il dato “storico”, l’origine del mito del girasole si trova in Ovidio (43 a. C. - 17 d. C.), nel IV libro delle Metamorfosi, in cui viene raccontata la storia della ninfa Clizia, che era perdutamente innamorata del dio Apollo sebbene questi la respingesse. Clizia cominciò a deperire, rifiutando di nutrirsi. 
Così racconta Ovidio:

Da allora, travolta dalla follia della sua passione, la ninfa,
incapace di arrendersi, si strugge e notte e giorno sotto il cielo
giace sulla nuda terra a capo nudo coi capelli scomposti.
Per nove giorni, senza toccar acqua o cibo,
interrompe il digiuno solo con rugiada e lacrime;
non si muove da terra: non faceva che fissare nel suo corso
il volto del nume, seguendolo con gli occhi.
Si dice che il suo corpo aderisse al suolo e che un livido pallore
trasformasse parte del suo incarnato in quello esangue dell'erba;
un'altra parte rossa e un fiore simile alla viola le ricopre
il volto. Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge
a lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore.

Del resto Clizia in greco significa proprio “colei che si inclina, si muta” e “colei che ha la dedizione verso qualcosa”, da klysis inclinazione e klino piegarsi, inclinarsi  quindi anche dopo la metamorfosi fu fedele alla qualità del suo nome cambiando inclinazione durante il giorno a seconda dello spostamento del Sole nel cielo, come il girasole appunto. [Nell'immagine Clytie di Evelyn Morgan]

Nella civiltà Inca era considerato il simbolo della sovranità: il dio re, personificazione terrena del sole divino, spesso teneva in mano uno scettro che culminava con un girasole, immagine vegetale del sole. Infatti questo fiore ama a tal punto la luce del sole, da orientare la calatide verso il punto di maggiore illuminazione, a sud. Gli Inca conoscevano bene le proprietà nutritive dei semi e ricavavano fibre dal fusto e dalle foglie. Ci volle invece tempo prima che gli europei scoprissero che era una pianta oleaginosa. L’olio che se ne ricava, seppur ha poco sapore, è ipocolesterolemizzante ed è uno dei migliori grassi alimentari. La medicina russa utilizza le foglie e i fiori per curare le malattie polmonari e della gola.


Anche nelle nostre campagne fra giugno e luglio questi “giganti bonari” si ergono sul loro busto alto inebriandosi di sole sino al momento del raccolto che li vede esausti ed appassiti.
Questa immagine deve aver suggerito a Eugenio Montale la celebre quartina di Ossi di seppia:

Portami tu la pianta che conduce
Dove sorgono bionde trasparenze
E vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.



Una favola andalusa che si riferisce ai primordi dell’umanità, racconta di due fratelli, uno buono, l’altro cupo e invidioso. Un giorno il primo domandò: “Perché mi sfuggi sempre? Siamo soli al mondo e dovremmo amarci”. Ma l’altro rispose: “a me piace vivere solo. La tua presenza mi importuna, mi irrita”. Qualche anno dopo, il giovane buono si ammalò gravemente e sentendosi morire chiamò il fratello al capezzale. “Sto per andarmene” gli disse “ma vorrei serbare un buon ricordo di te. Ti prego fammi un sorriso, almeno una volta”. Ma l’altro taceva, scuro in volto. “Tanto mi odi!?” esclamò il fratello buono. “Ricordati che l’odio e l’egoismo sono i torturatori della vita. L’amore è invece luce”. Furono le ultime parole. Poi due angeli ne condussero l’anima al Signore che, intenerito dalla sua bontà disse: “Di te farò l’astro più bello dell’universo”. Quando il giovane malvagio vide ardere il sole nel cielo, vi riconobbe il sorriso del fratello: “Ecco l’amore che ho respinto!” esclamò commosso. “Ora voglio contemplarlo per tutta l’eternità”. E il Signore lo trasformò nel girasole.



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