martedì 18 luglio 2017

VOLEMOSE BENE - SAPPIAMO COSA MANGIAMO?




“Un sistema il cui obiettivo fondamentale è di cercare di tratte il massimo profitto dalla produzione di qualcosa di così indispensabile come il cibo”. Basterebbe questa affermazione e la coscienza di cosa implica, per imporre una seria riflessione su cosa mettiamo nel piatto. Il “dio quattrino” corrompe proprio tutto e per riportare l’attenzione in Italia basterebbe ricordare lo scandalo della “terra dei fuochi” da cui si è scoperto -dopo, ovviamente- che provenivano molti ortaggi di “qualità” destinati al consumo quotidiano. La mancanza di scrupoli, oggi contraddistingue tutti, sia coloro che fanno enormi profitti, sia i consumatori che inebetiti da una propaganda tanto “rassicurante” quanto ingannevole che forgia una mentalità sempre più omologata, rinunciano a qualsivoglia critica e si lasciano imporre il dictat del “mangia e tâs” (mangia e taci).  



Sappiamo che cosa mangiamo?
di Esther Vivas


Se una volta ci vendevano carne di gatto per coniglio, oggi ci vendono carne di cavallo per carne di marzo. Sapere che cosa mangiamo è diventata una cosa sempre più difficile. Il recente scandalo alimentare scatenato dalla scoperta di carne di cavallo in prodotti nei quali ci sarebbe dovuto essere carne di manzo non fa che mettere ulteriormente in evidenza questa difficoltà. Cannelloni “La Cocinera”; hamburger di Eroski; ravioli e tortellini di carne Buitoni, polpette della  Ikea non sono che alcuni dei prodotti che sono stati ritirati dal mercato. A conferma che noi tutti non abbiamo nessuna  idea di quello che mangiamo.

L’Irlanda e la Gran Bretagna sono state le prime a individuare DNA di cavallo negli hamburger etichettati, teoricamente, come contenenti carne bovina. Supermercati come Teso, Lidl e Aldi, e persino il re degli hamburger Burger King, si sono visti costretti a ritirare questi prodotti  dalle loro strutture commerciali, mentre in Spagna, il governo continuava a negare l’esistenza di casi simili. Eppure, qualche settimana più tardi, l’Organizzazione dei consumatori e degli utenti (OCU) scopriva carne di cavallo negli hamburger di Ersoskie di AhorraMas.
Tutto questo è una chiara conseguenza della globalizzazione alimentare, della delocalizzazione dell’agricoltura e degli alimenti che viaggiano da un posto all’altro. Presto o tardi, le conseguenze di questi scandali arriveranno anche da noi. Il ministero spagnolo dell’agricoltura, dell’alimentazione e dell’ambiente alla fine ha dovuto riconoscere l’esistenza di carne di cavallo in prodotti venduti come carne di vitello. E multinazionali come Nestlé, tra le altre, hanno ritirato i prodotti in questione.
A dispetto del fatto che la sostituzione di una carne con l’altra non porta pregiudizio alla nostra salute, questi casi fanno squillare un campanello d’allarme su quello che mangiamo e su chi tira le fila del sistema alimentare. Una volta ancora tutto ciò dimostra come gli interessi economici di un pugno di imprese dell’agroindustria si impongo a scapito dei bisogni alimentari delle persone. Così, se per loro produrre carne di cavallo costa meno, troverete del cavallo nel vostro piatto.
Inoltre, scoprire dove la frode ha preso inizio diventa una missione impossibile in una catena agroalimentare nella quale, secondo un rapporto degli Amici della Terra, i prodotti alimentari percorrono in media 5000 km prima di arrivare nel nostro piatto. Un hamburger può essere stato fatto con la carne di diecimila mucche e passare attraverso cinque paesi diversi prima di arrivare al supermercato. Dove e quando vi si è intrufolato il cavallo? L’Irlanda ha dapprima accusato la Spagna e in seguito la Polonia. Quando il caso è scoppiato in Francia, il colpevole era una ditta del Lussemburgo che, a sua volta, ha segnalato che la carne veniva dalla Romania. E quest’ultima ha dichiarato che la merce le arrivava da Cipro e dall’Olanda. Impossibile conoscere la verità.
La storia si ripete. E ogni volta che sorge un nuovo scandalo, assistiamo all’incrociarsi di accuse, di allarme sociale, d’impossibilità di conoscere l’origine, ma anche a tonnellate di alimenti buttate nei rifiuti. Fu il caso con l’ Esterichia Coli nei cetrioli, e ancora prima con i polli alla diossina, con la mucca pazza, la peste dei maiali, e una lunga serie di  “eccetera”. E questo si ripeterà di nuovo. Poiché si tratta dell’altra faccia di un sistema alimentare che ci vien venduto come il migliore possibile ma che, in realtà, non funziona, ed è incapace di alimentarci in modo sano , di essere trasparente, oltre a non essere in grado di porre fine alla fame nel mondo.
Questi scandali alimentari sono il risultato di un modello produttivo delocalizzato, chilometrico, petrolio-dipendente, che fa a meno della presenza di un solo contadino, intensivo e fortemente dipendente dall’uso di pesticidi, un sistema il cui obiettivo fondamentale è di cercare di tratte il massimo profitto dalla produzione di qualcosa di così indispensabile come il cibo. Anche l’influenza dei maiali e l’influenza aviaria hanno la loro origine in fattorie di allevamento intensivo su grande scala, nel quale gli animali sono ammassati gli uni sugli altri, subiscono un trattamento abusivo e crudele, vengono allevati con forti dosi di antibiotici e sono trattati come delle merci.
Oggi la catena alimentare, che vede da una parte il contadino/produttore e dall’altra il consumatore, si è allungata a tal punto che nessuno dei due può avere influenza su di essa. La nostra alimentazione è nelle mani di imprese che monopolizzano ognuna degli anelli della produzione, della trasformazione e della distribuzione dei prodotti alimentari, dalle sementi fino ai supermercati, e che impongono le loro regole del gioco. E se il nostro diritto all’alimentazione resta nelle mani di imprese come Cargill, Dupont, Syngenta, Monsanto, Kraft, Nestlé, Procter&Gamble, Mercadona, Alcampo, El Corte Inglés, Carrefour… è chiaro che questo diritto, come ci mostra la realtà, è tutt’altro che  garantito.
Abbiamo una sola alternativa: riappropriarci le politiche agricole e alimentari. Esigere quello che troppo spesso ci viene negato sia come persone che come popoli: il diritto di decidere, la sovranità, e in questo caso la sovranità alimentare. E ridiventare padroni della nostra agricoltura e della nostra alimentazione.

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