Proseguo la trattazione inerente il significato del cibo nella Tradizione ebraica, prendendo sempre a prestito dal saggio di Laura Scopel (Le prescrizioni alimentari di carattere religioso); esaminaniamo ora la valenza spirituale delle feste ebraiche, il loro significato simbolico e i cibi che imbandiscono le tavole e vengono consumati.
L’alimentazione ebraica ha certamente
assunto un ruolo importante nella difesa della coesione del gruppo, sia nel
contesto familiare che in quello più ampio della comunità, contribuendo a
rafforzare l’identità collettiva distinguendola dalle altre.
Gli aspetti più significativi
dell’importanza dei costumi alimentari nel processo di costruzione di percorsi identitari,
individuali e collettivi, ispirati ai valori dell’Ebraismo, si rinvengono
durante la celebrazione delle feste liturgiche.
Nella giornata del Sabato, dedicato al riposo settimanale (Shabbàt)[1],
si consumano cibi prelibati, preparati in anticipo e la tavola attorno a cui si
raccolgono familiari e ospiti viene apparecchiata in modo speciale contribuendo
così a interrompere il tempo ordinario di ciascun ebreo che, con l’arrivo della
festa, viene proiettato in un clima di qedushàh,
di sanità personale. I tre pasti sabbatici obbligatori comprendono cibi
particolari che potrebbero sembrare contraddittori rispetto al contesto del
momento, che invita all’elevazione spirituale, invece la fusione tra aspetto
corporale e spirituale manifesta la meravigliosa completezza del Sabato: il
mondo materiale (chol) partecipa
della santità (Kedushà) del mondo
superiore e l’Onegh shabbat (il
piacere e la gioia del Sabato) spinge l’uomo a cantare le zemiroth (i canti del Sabato). Il corpo e l’anima, nell’Ebraismo,
sono infatti concepiti come entità funzionali e conseguentemente l’alimentazione
equilibrata, presupposto di un corpo sano e appagato, risulta condizione
fondamentale per l’elevazione del proprio spirito.
La festa di Pesach, la Pasqua ebraica, commemora la fuga del
popolo ebraico dall’Egitto e la fine della schiavitù ed è caratterizzata
proprio da una cena, il seder (ordine), che viene consumata
con parenti e amici unendo il consumo di cibi a canti e preghiere. I cibi
rituali che vengono preparati per il seder
sono: tre focacce di pane azzimo (mazzot),
dell’erba amara (che in Italia è di solito lattuga o sedano), un impasto dolce
di frutta fresca e secca (charoset),
dell’aceto o succo di limone o dell’acqua salata, uno zampetto d’agnello e un uovo
sodo. La zampa d’agnello ricorda il sangue d’agnello con cui gli ebrei tinsero
gli stipiti delle loro porte e non viene consumata in segno di lutto per la
distruzione del Tempio di Gerusalemme, ove si offrivano i sacrifici pasquali.
Il charouset, essendo un impasto di
frutta dal sapore dolce il cui aspetto ricorda la malta e la paglia con cui gli
ebrei costruivano i mattoni in Egitto, è al contempo simbolo di schiavitù e di
libertà. Le erbe vengono intinte due volte: prima nell’aceto (o nell’acqua
salata o limone) per ricordare l’amarezza della schiavitù e successivamente nel
charoset per rammentare la dolcezza
della libertà. L’uovo, per la sua forma tondeggiante, rappresenta la
circolarità della vita e la rinascita e inoltre, dopo la distruzione del tempio
di Gerusalemme, sostituisce l’agnello che in origine veniva sacrificato. Il
pane azzimo, non lievitato e quindi duro, è principalmente ricordo dell’urgenza
con cui gli ebrei sono partiti dall’Egitto e quindi rappresenta l’urgenza della
libertà ma anche la durezza della schiavitù. Il lievito, nella tradizione
rabbinica, essendo anticamente ottenuto dalla vecchia pasta di pane,
rappresenta tutto ciò che essendo vecchio non deve essere portato nel viaggio
verso la libertà.
La festa di Schavuot (Pentecoste) commemora il dono della
Toràh nel Sinai e richiede il consumo di latticini, poiché la tradizione narra
che, mentre Mosè si trovava sul monte Sinai, gli ebrei avessero preparato un ricco
banchetto a base di carne che non venne consumato in osservanza dei precetti
alimentari rivelati a Mosè e al posto del quale venne apprestato un pasto a
base di latticini.
La festa di Chanukah (inaugurazione) ricorda la
ri-dedicazione del Tempio di Gerusalemme dopo la profanazione operata da
Antioco IV Epifane, in occasione della quale l’olio necessario per la
riconsacrazione del Tempio ebbe a durare miracolosamente molti giorni
sopperendo in tal modo alla penuria dello stesso. È usanza consumare cibi
fritti nell’olio a ricordo dell’intervento della Provvidenza Divina che fece
durare a lungo l’olio, puro e appositamente preparato, necessario ad accendere
il candelabro a sette braccia (Menorah).
Il significato del cibo nelle ricorrenze
religiose, quindi, assume un valore simbolico che supera la sua stessa natura
di nutrimento, materiale e spirituale, come avviene nella festa del Kippur
o durante il Purim. Invero il digiuno
praticato in forma espiatoria, nella festa del Kippur, annulla la parte materiale della vita, mentre durante il Purim è consentito un approccio
disinibito al cibo che può essere assunto, unitamente alle bevande, fino a
perdere cognizione delle cose.
Gli alimenti adoperati nelle festività
ebraiche sono anche strumento della memoria storica del popolo di Israele,
poiché rimandano a episodi lontani nel tempo: la matzà (azzima), il pane schiacciato simbolo della povertà e
dell’afflizione mangiato a Pesach,
quando si ricorda l’esodo dall’Egitto; la chametz
(le sostanze lievitate) vietate a Pesach e
che rappresentano anche superbia e violenza; il maror (l’erba amara) simbolo della schiavitù che funge da monito a
non incorrere negli stessi errori del passato.
[1]
Il Sabato,
in cui si ricorda il riposo di D-o dopo la creazione, assolve a una funzione
riequilibratrice che libera l’uomo da un’esistenza proiettata esclusivamente
nel mondo della creatività fisica e lo inserisce in quello della creatività
spirituale e sociale. Cfr. Scialom Bahbut, Shabbat: lo sposo di Israele, in
<http://www.morasha.it/zerut/sb13_shabbat.html>, citato da S. Dazzetti,
op. cit., pag. 148.
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