
Milano,
3/5 marzo 2018
Identità golose
(in fondo i link della kermesse)
A cura di Paolo Marchi
(Nato a Milano nel marzo
1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e
curatore dal 2004 di Identità Golose).
Il Fattore Umano, sarà questo il tema, il filo conduttore di Identità
Golose 2018 a Milano, da sabato 3 marzo a lunedì 5. Viviamo un’epoca
dove è più facile avere lo sguardo rivolto a uno schermo piuttosto che verso il
viso di una persona, un tempo nel quale troppe cose, sul lavoro e nella vita
privata, sono ricondotte a internet e alla freddezza di rapporti superficiali,
dove si ha fretta per tutto e tutto viene ridotto a selfie e autoscatti spesso
senza spessore. Tutti fotografi al punto che in rete i piatti troppo spesso
piacciono perché belli quando in realtà, una pietanza deve risultare
innanzitutto buona. E questa incalzante spersonalizzazione dei rapporti tra le
persone si riflette anche nella ristorazione, con una preoccupante omologazione
anche a livello di alta cucina, dove gli autori hanno poco di loro da dire. Si
registra un dilagare di piatti che fanno il verso a culture di altri paesi
piuttosto che ai menù degli chef più importanti. E non per uno scambio di
culture e di contaminazioni, ma per nascondere i propri limiti colorandoli con
immagini rubacchiate qua e là. Invece di impegnarsi ad approfondire i propri
punti di forza, si seguono tendenze e capricci nel timore di non cavalcare
l’onda del momento. Fateci caso: fino a un paio di anni fa il ceviche (piatto
peruviano a base di pesce, n.d.r.) era pressoché sconosciuto, ora fa capolino
in sempre più menù. Ha senso se prima impariamo tutto quello che sta a monte
della preparazione regina della cucina peruviana. Ma quanti lo fanno?
E così il Fattore Umano
vuole mettere al centro le relazioni umane, l’uomo-chef e tutti coloro che lo
circondano sul lavoro, dalla cucina alla sala, al rapporto coi clienti e prima
ancora artigiani e fornitori. Internet, nelle sue innumerevoli forme, ha
permesso la condivisione di saperi, note, conoscenze, tecniche, ricette come
solo dieci anni fa era inimmaginabile. Però resta un però. Lasciamo stare per
una volta l’imbarbarimento delle relazioni sociali, il rispetto merce sempre
più rara, la chiusura dilagante verso chi non è sulla nostra stessa sponda: quello
che la rete non potrà mai offrire è proprio il fattore umano, la
possibilità di un confronto faccia-a-faccia, il parlare al cliente, ma anche ai
fornitori piuttosto che a chi lavora nel tuo locale. È il momento, pur non
rinunciando all’emozione per quello che c’è nel piatto, di portare, di spostare
l’attenzione sul convivio, su quanto avviene attorno alla tavola, punti di
incontro di mondi. Se vi è una cosa della quale possiamo essere sicuri è che anche tra
dieci anni non potremo comperare la convivialità su internet, mai. La
ristorazione rimarrà uno dei massimi centri di sviluppo delle relazioni umane. Se
tutto è a disposizione di tutti, se tecniche, idee e ingredienti non sono più
“segreti dello chef”, anzi c’è una corsa a reclamizzarli per evidenziarne la
paternità, cosa fa la differenza? La capacità delle persone di relazionarsi tra
loro, rispettandosi e spronandosi a crescere e migliorarsi passo dopo passo. Il
ristoratore che stabilisce un rapporto diretto e personale con un allevatore,
un pescatore o un agricoltore, un casaro come un artista o un designer, trarrà
vantaggio da queste relazioni perché i vari personaggi si sentiranno ben più
motivati, protagonisti di un progetto globale e non semplice fornitori di un
tassello che paghi e finita lì. E lo stesso all’interno del locale. I cuochi e
i ristoratori intelligenti e sicuri delle loro capacità eviteranno di mettersi
in cima a una torre d’oro per ingigantire loro stessi e rimpicciolire chi hanno
accanto. Chef e cucina, cantina e camerieri si sentiranno parte importante e
rispettata e, preso coscienza di questo, si impegneranno con ben altro spirito
e attenzione perché al centro di un pranzo vi sia il piacere finale dell’ospite
a tavola.
Nessuno negherà mai la
forza trainante del leader, ma non bisogna più mettere al centro di ogni azione
sempre e solo l’ego dello chef. Nessuno intende contestarne il ruolo, il peso di
chi investe, fa impresa e imposta le linee guida, ma in una società che sarà,
piaccia o non piaccia, sempre più multietnica e multiculturale, purtroppo anche
con attriti e violenze, prima si capirà la forza del confronto e del rispetto e
prima tutti ne trarranno giovamento.
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