
La sfida è far rinascere terreni
sfiancati dall’agricoltura intensiva e irrompere nel mercato in continua
crescita, tra moda e realtà, del “gluten free” attraverso la riscoperta e lo
studio in laboratorio della risciola, un grano tenero dal colore rossiccio che
cresce dal 1500, ma dimenticato ormai da decenni.
Il terreno di questa sfida è sulle
colline dell’alta Irpinia, dove per il momento sono una ventina i contadini che
hanno aderito al progetto “Comunità Risciola”, ideato dalla famiglia degli
imprenditori Lo Conte, e cioè hanno ripreso a seminare e coltivare in modo
tradizionale, con metodo biologico, i piccoli appezzamenti tramandati da sempre
di padre in figlio.
“Abituati sempre a ricevere dalla terra,
siamo arrivati ad un punto in cui questi campi, sottoposti a colture intensive,
non ripagano il lavoro, non c’è nessun guadagno e in più, negli ultimi anni,
stiamo assistendo a tanti smottamenti e frane” – ci spiega Marco, uno degli
agricoltori, mentre ci mostra il suo campo coltivato a risciola, dal colore più
scuro, sul declivio di una collina a Melito Irpino – “da un paio d’anni abbiamo
deciso di lavorare sulla qualità piuttosto che sulla quantità: dallo stesso
terreno ricavavo 15-18 quintali di grano duro e adesso con la risciola siamo
andati a dimezzare il raccolto”.
È infatti il Gruppo Lo Conte, che
distribuisce gratuitamente anche i semi, ad acquistare tutta la produzione dei
coltivatori iscritti alla comunità Risciola, garantendo una maggiorazione del
60% del prezzo di mercato. Ma non siamo di fronte ad un’operazione di
beneficenza, anche se si tratta di “innovazione sociale”, come ci tiene a
sottolineare Antonio Lo Conte. “Negli anni la nostra azienda si è distinta
nella produzione di farine speciali, ma questa volta con la risciola siamo
andati oltre: abbiamo trovato il modo per togliere la tossicità al glutine,
rendendo la farina di risciola innocua a celiaci e a persone intolleranti a
questa sostanza, ed è un brevetto soltanto nostro”, spiega Antonio Lo Conte.
Nel 2015 il raccolto è stato di due
quintali, quest’anno prevedono di arrivare ai 100 ma “attenzione, non abbiamo
ancora venduto nulla, perché in questa fase il nostro interesse è avere la
materia prima, che era andata perduta. Il primo passo è stato quello di andare
a cercare chi conservava la risciola e quando l’abbiamo trovata nella zona di
Castelfranco in Miscano, il contadino, che la usava per farci il pane in casa e
la custodiva gelosamente, si è insospettito quasi temendo che volessimo
accusarlo di tenere un grano fuorilegge, perché non iscritto al registro delle
sementi allora in vigore”.
La risciola è un grano prezioso anche
perché i semi – non convenendo in termini di resa all’industria mondiale delle
sementi, non sono stati mai incrociati né modificati negli anni, mantenendo
così intatte tutte le proprietà nutrizionali. “Il grano moderno ha l’11-13% di
glutine, invece la risciola parte da una percentuale molto più bassa, che è del
7-9%: questa caratteristica ci ha permesso, in dieci anni di ricerca, di
ottenere il processo di deglutinazione e adesso siamo nella fase finale dei
trial clinici condotti all’ospedale Umberto I di Roma. Entro un anno dovremmo
essere pronti”, spiega Vittorio Valletta, ricercatore nello stabilimento di Lo
Conte a Frigento.
Il passaparola tra i contadini è
iniziato e sono arrivate richieste di seminare la risciola irpina anche dalla
Sardegna, ma forse la cosa più importante di tutta questa impresa, compiuta nel
segno di una agricoltura biologica e che cerca nuove strade per essere
sostenibile anche economicamente, è lo sforzo di preservare la ricchezza e la
tradizione di questa “terra di mezzo”, terra di passione e fatica al centro dei
monti d’Italia, come cantava Virgilio nell’Eneide duemila anni fa: c’è tutto
questo dentro i piccoli semi della risciola.
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