martedì 18 aprile 2017

VOLEMOSE BENE - BANCA DEL CIBO? NO CIBO DELLA BANCA!



[nell'immagine R. Guttuso, La Vucciria] 
 
È importante che tutti coloro i quali nutrano una qualche preoccupazione per il futuro del pianeta, per la qualità di vita e di alimentazione umana, non permettano a questi argomenti di scivolare nel dimenticatoio o nelle chiacchiere da bar o peggio nelle polemiche televisive. Si dovranno scoprire nuove maniere di comunicazione in modo anche di trasmettere al pubblico una nuova educazione alimentare non più fondata sul “mangiare di tutto un po’” perché in realtà l’industria decide quel “tutto” e lo incanala verso le sue precise scelte di profitto, facendoti poi credere che “si è sempre mangiato così”. Questa è la grande opportunità che ci sta dando la Grande Crisi in atto ora e per molto tempo ancora. Se no, a che servono le crisi, se non a riflettere? 
  

Banca del cibo? No cibo della banca - di Roberto Marrocchesi
Ogni volta che un qualche “vip” è visto mangiare un po’ di tofu, subito scrosciano gli applausi. Senz’altro si può affermare che le vecchie rockstar in cerca di mantener la linea o gli ex presidenti USA che hanno capito che c’è un nesso tra dieta e prevenzione dell’infarto, costituiscano un buon esempio da imitare, almeno che c’è chi ci tiene e ci pensa se non altro per sé (“We care”).

Al di là di queste belle notizie però, la situazione alimentare moderna mondiale è alquanto seria. Le vendite oggi dei cibi “Bio” in Europa ammontano solo al 2% dei consumi UE (26 paesi). In pratica, 21 M di € contro ad esempio 24 M di € in merendine confezionate. La realtà è ben altra cosa, ed è che la grande industria alimentare è la causa numero uno dello squilibrio alimentare, in pratica della fame, nel mondo odierno. Vediamo ora come il capitalismo finanziario dei disastri tragga vantaggio solo per il denaro in se’ dalla produzione di alimenti scadenti, purché altamente industrializzati.
Chi non l’avesse ancora fatto, si legga il libro del 2007 di Naomi Klein “Shock Economy, l’ascesa del capitalismo dei disastri”. In esso l’Autrice sostiene che fenomeni sociali straordinari come la guerra in Iraq e disastri naturali come i grandi terremoti, alluvioni ecc. siano sempre un’opportunità usata dalla grande industria attraverso i politici al potere da lei sostenuti per far passare nuove leggi straordinarie che mai sarebbero state accettate in situazioni normali. Questa forma di opportunismo sociale di solito è altamente apprezzata negli ambienti finanziari in quanto produttiva di lauti guadagni. Per l’industria alimentare il disastro da tramutare in grandi profitti è la penuria alimentare che affligge il Pianeta. La scarsità di cibo è stata sventolata sotto i nostri occhi da almeno 40 anni (senza tener conto delle antiche predizioni, del tutto errate, da parte di Malthus e altri corvi di sciagura) ma è ora assai più vicina a realizzarsi ovunque, facendosi sentire tanto nei paesi “in via di sviluppo” quanto in quelli sviluppati, cioè da noi.
Una delle strategie del capitalismo dei disastri è quella di attendere che i problemi si manifestino in tutta la loro gravità prima di passare all’azione. Infatti, non ci sarebbe sufficiente reazione emotiva per far passare misure in loro favore senza l’urgenza del disastro, e quindi mancherebbero i guadagni colossali. Pertanto si va dal “preoccupante” al “problematico” prima di arrivare a “disastro” nel loro linguaggio echeggiato da stampa e televisioni.  L’Escalation di termini conduce a una serie di misure d’emergenza spacciate per soluzioni – non c’è tempo, bisogna agire in fretta! Proprio quando c’è bisogno di studiare in dettaglio e di tanta moderazione, si agisce in fretta e furia.

Primo esempio: L’impoverimento dei contadini. I piccoli agricoltori a regime famigliare o simile in tutto il Pianeta non possono tenere prezzi che reggano la concorrenza con quelli dell’agricoltura aziendale industrializzata, di grande scala e altamente meccanizzata. Per salvarsi hanno due possibilità: una è quella di produrre alimenti da export, esotici in nazioni più ricche, allo scopo di accrescere i guadagni. In Italia ciò vale soprattutto per il vino. La seconda possibilità è quella di coltivar cereali per bio-fuel ovvero, trasformarli in carburante per motori a scoppio. Le sole vendite di terreni agricoli in Africa dell’ultimo anno ammontano per un terzo a terreni destinati a questo tipo di raccolti.
La Jatropha è una nuova pianta che viene promossa in Africa e Sud America come un aiuto per i piccoli coltivatori, produce olio facilmente convertibile in bio-fuel. La grande resa si trasforma però subito in consumi massicci di acqua e di pesticidi mentre i consorzi agrari vendono a vagonate semi di questa nuova “rivoluzione Verde” in paesi dove la fame è endemica, per cui diventa necessario importare cereali e alimentari dall’estero, sovente sotto forma di aiuti altre volte acquistati con maggiore debito. Indovinate chi paga, e indovinate chi ci guadagna.

Secondo esempio: l’aumento della popolazione. Avrete sentito dire che si proietta la crescita della popolazione mondiale oltre i 9 miliardi, secondo alcune stime, peraltro controverse e non certe, per la metà del presente secolo. Nove miliardi che ogni giorno si dovranno sedere da qualche parte a mangiare qualcosa. Anche questo problema è sempre stato rinviato al futuro fino a che non si presenta l’ennesima “crisi da aumento di popolazione”.
La soluzione rapida e definitiva è alla portata: basta mettersi a produrre massicciamente cibi geneticamente modificati che resistono ai parassiti, usano solo certi pesticidi e dovrebbero aumentare la resa: chi si oppone agli OGM farà così la figura dell’ecologista sentimentale, egoista e senza cuore che per le sue fisime – “non scientificamente provate” direbbe Veronesi – causa la fame dei poveretti…Intanto Monsanto ci fa un figurone. Peccato che la realtà sia completamente un’altra.

Terzo: I crescenti prezzi agricoli alimentari. La risposta qui è scambiare quantità con qualità. Si forniscono alimenti scadenti ma di massa ai più poveri, sempre provenienti da cibi molto trattati e industrializzati. Troverete sempre abbondanza di fast-food nei quartieri bassi, macchinette distributrici nelle fabbriche, merendine/immondizia nelle scuole. Il fatto è che i pochi che lavorano duro devono mangiare con poco e velocemente, mentre chi non lavora ha bisogno di ridurre al massimo la spesa alimentare. Aggiungi la mancanza di cultura, gli slogan fasulli piantati ad arte dalla pubblicità ingannevole e dagli “esperti” televisivi prezzolati, ed ecco che la povertà nutritiva ha tutti i sostegni che necessita; i signori del fast-food sono maestri di cibi saporiti ed economici.
I governi dal canto loro continueranno sempre a finanziare con aiuti di Stato carni, latte e pollame per rassicurare il grande pubblico con la presenza di alimenti familiari sulla tavola, anche se l’evidenza scientifica e dei fatti ha provato da tempo che questi consumi in eccesso siano malsani e apportatori di patologie degenerative. Lo continuano a fare perché l’industria alimentare li appoggia e finanzia completamente attraverso i finanziamenti alle campagne elettorali dei politici, e questo vale per tutti gli schieramenti e partiti indistintamente. Si sta già configurando infine una pseudo-Linea Verde nei fast-food per giovani ed ecologisti dilettanti, a base di banco delle insalate, burger alla soia OGM e ben presto avremo pannelli solari ed eliche eoliche vicino alla grande M a forma di tette appetitose simbolo di McDonald’s.

Quarto: Le riserve di pesce in esaurimento. Enormi navi-officina solcano i mari espellendone i piccoli pescherecci, esaurendo le scorte e massacrando le riserve di piccoli pesci in crescita col metodo della pesca di massa industrializzata. Su di esse il pescato è lavorato in catene di produzione fino al prodotto pronto surgelato magari anche precotto. Questa politica estrattiva produce immani squilibri ambientali e sprechi, con conseguente impoverimento del patrimonio ittico. Una seria politica di autocontrollo della pesca con metodi e calendari precisi permetterebbe di conservare il patrimonio di pesci in riproduzione, ma onde tenere altissimi i ricavi bisogna invece allarmare il pubblico con le false notizie per cui l’industria ha già pronta la nostra salvezza: il pesce OGM! Pronto su ogni tavola, le ultime pastoie e scrupoli dei tradizionalisti (oh come son lenti, questi antimodernisti e antiprogressisti, non vedete che il mondo ha fame e noi grandi forze del Progresso lo sfameremo?) cadono in fretta, tra poco FDA (Ministero dell’Agricoltura USA) approverà senza riserve. Avrete salmoni a crescita rapida, dimezzata come tempi e di maggiori dimensioni; magari poi lo scienziato del progresso inarrestabile penserà ad un nuovo modello di salmone con le zampe in modo da uscirsene dall’acqua da solo, così avremo pescatori in esubero a cui penserà la cassa integrazione mentre i salmoncini tutti in fila se ne entreranno nelle fabbriche automatizzate, sulle loro zampine. E’ un sogno, per ora, ma presto… Un maiale più umanizzato anche per farne organi simil-umani da trapiantare (mi raccomando anche la faccia, signori politici!) ed una capra da latte chimicamente simile a quello umano sono già in fase sperimentale avanzata. Aspettiamoci di vedere dei bimbi brucare l’erba nelle aiuole del giardino di casa, e bimbi molto, molto ubbidienti che si muovono tutti insieme, come un gregge…
E’ importante che tutti coloro i quali nutrano una qualche preoccupazione per il futuro del pianeta, per la qualità di vita e di alimentazione umana non permettano a questi argomenti di scivolare nel dimenticatoio o nelle chiacchiere da bar o peggio nelle polemiche televisive. Si dovranno scoprire nuove maniere di comunicazione in modo anche di trasmettere al pubblico una nuova educazione alimentare non più fondata sul “mangiare di tutto un po’” perché in realtà l’industria decide quel “tutto” e lo incanala verso le sue precise scelte di profitto, facendoti poi credere che “si è sempre mangiato così”. Questa è la grande opportunità che ci sta dando la Grande Crisi in atto ora e per molto tempo ancora. Se no, a che servono le crisi, se non a riflettere?



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