Questo articolo, a prescindere dall'"idea che ciascuno può avere di famiglia", mi sembra degno di nota perché fa emergere che razza di politiche e interessi si nascondono dietro il cibo, ossia la cosa più "intima" che portiamo in casa e consumiamo in noi stessi. Ho documentato l'invadenza degli OGM, nell'agricoltura e nell'economia, ma questi costituiscono solo l'aspetto materiale dell'alimento; ora vediamo dal punto di vista "ideologico" cosa ispira la manipolazione di ciò che bolle nella pentola che abbiamo sul fuoco.
Antefatto.
Nel 2013 Guido Barilla, presidente dell’azienda omonima, in una trasmissione
radiofonica dichiarò che il posizionamento dei prodotti Barilla mal si
conciliava con possibili spot in cui fossero presenti persone e pseudo famiglie
omosessuali. Venne messo alla gogna. Da allora il processo di rieducazione
maoista al credo Lgbt dell’azienda non ha conosciuto battute d’arresto.
Una recente nota dell’azienda spiega che
vi sono molte iniziative “messe in atto da Barilla per combattere
l’omofobia e l’intolleranza sul luogo di lavoro per prevenire e sensibilizzare
le persone sulla tematica della diversità e inclusione, da tempo particolarmente
cara all’azienda. Il Gruppo Barilla è impegnato a promuovere e mantenere la
diversità a tutti i livelli dell’azienda. Essendo un’impresa a conduzione
familiare questo è una parte fondamentale del Dna dell’azienda. Questo include
assicurare che la voce, la prospettiva e l’individualità di ogni impiegato,
partner e cliente venga rispettata. A testimonianza degli impegni concreti
Barilla ha ottenuto nel 2017, per il quarto anno consecutivo, il punteggio del
100% nel ‘Corporate Equality Index’, un sistema di confronto sulle attività
aziendali rivolte a dipendenti lesbiche, gay, bisessuali e transessuali
sviluppato da Human Rights Campaign” che è la più influente agenzia di
diffusione del pensiero Lgbt a livello mondiale.
E poi si aggiunge: “A ulteriore
riprova dell’impegno di Barilla verso le comunità Lgbti nel mondo, l’azienda ha
creato un comitato chiamato Voce in cinque nazioni (Usa, Brasile, Francia,
Italia, Turchia) per discutere le tematiche Lgbti. Nel 2017 Claudio Colzani,
amministratore delegato del Gruppo Barilla, si è unito ad altri 270 Ceo per
firmare il Ceo Action for D&I pledge impegnandosi per promuovere la
diversità e inclusione sul posto di lavoro”.
Kristen Anderson, Chief Diversity Officer
di Barilla, ha inoltre affermato che “in Barilla siamo più impegnati
che mai a rendere l’azienda un luogo aperto a inclusione e diversità, che offra
le stesse opportunità per noi lavoratori e consideri le differenze individuali
come un punto di forza, il contributo che ognuno di noi può dare al nostro modo
di fare impresa ‘Buono per te, Buono per il Pianeta’”.
Come se non bastasse Barilla sarà la
prima azienda italiana ad aderire agli Standards of Conduct for Business dell’Ufficio
dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (Ohchr) che
formalmente mirano a combattere le discriminazioni sui luoghi di lavoro per le
persone Lgbt, ma sostanzialmente invece sono un’arma contro la libertà di
pensiero e di religione. Fanno parte di questa iniziativa già 51 aziende nel
mondo del calibro di Google, Ikea, Microsoft e Vodafone. L’adesione è stata
annunciata ieri, venerdì 26 gennaio, addirittura a Davos, al World
Economic Forum Annual Meeting, durante il Forum ‘Free and Equal’ al quale ha
partecipato l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Zeid
Ra’ad Al Hussein.
L’adesione a simili protocolli proposti
da importanti agenzie internazionali non è in realtà solo
motivata dal timore di perdere clienti o dalla preoccupazione di offrire
un’immagine dell’azienda inclusiva e al passo con i tempi, bensì appare sempre
più come il doveroso ingresso in una specie di confraternita o setta il cui
spettro d’azione è globale – vedi l’annuncio dell’adesione di Barilla agli
Standards data a Davos – e che vuole diffondere un certo mainstream
antropologico. Insomma non è questione solo di affari privati, ma il fatto che
tali iniziative siano promosse addirittura dall’ONU fa comprendere che dietro
di esse c’è qualcosa di molto più grosso che combattere presunte discriminazioni.
L’obiettivo vero è imporre alle grandi aziende che influiscono sui
comportamenti delle persone – tutti i grandi brand sono life styler che piaccia
o meno – di stringere un patto di sangue tra loro stesse e gli organismi
internazionali per orientare le coscienze. Il ricatto fa leva su un principio
semplice semplice: se non sei nel club dei potenti, infangheremo la tua
immagine come è accaduto a Barilla. In tale prospettiva la discriminazione
delle persone omosessuali appare solo un mero pretesto.
Fonte:https://www.osservatoriogender.it/barilla-annuncia-la-sua-adesione-al-club-lgbt-dellonu/
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