“Occorre cautelarsi nei riguardi di quel male che ha
il nome di avidità. Si usi pertanto la carità come medicinale e così
venga considerato il nutrimento che viene offerto e ricevuto. Non si desideri
quindi un cibo raffinato”.
Sri Shankarâchârya
Addentrandosi un po' nelle norme alimentari indù (senza ovviamente aver la pretesa di essere esaustivi) si ha la sensazione di entrare in un ginepraio in cui è più facile perdersi che trovare quello che si stava cercando; per tale ragione è opportuno non scordare mai che essendo l'India la culla della Tradizione, nella sua società le basi non possono che essere solide e i principi precisi, meglio dire immutabili, quindi non si possono leggere certi dati con le categorie di pensiero moderne che tendono a dividere piuttosto che cogliere l'elemento unificante di tutto. Per tali ragioni anche lo "stile alimentare" di questa civiltà, come di tutte quelle che hanno ancora una connotazione tradizionale, deve essere considerato nella prospettiva che l'alimento è parte integrante di un Rito che ha come scopo primario di mantenere l'armonia e indicare la strada che ricongiunge gli esseri al loro Principio Eterno. Quindi il pasto di un uomo o del suo gruppo di appartenenza, rivela quella che è la natura propria e l’aspirazione che hanno: cosa si mangia e cosa si rifiuta di mangiare; come si mangia e dalle mani di chi si accetta cibo stabiliscono un ordine gerarchico naturale e “il principio, per dirla con una boutade, è che più la mia casta è elevata più sono schizzinoso ed esigente in tutte queste cose.
Questa è una
delle ragioni dell'estrema circospezione con cui l'India considera tutto
ciò che ha attinenza col cibo: esaltato in blocco nella poesia e nella
speculazione vedica, il cibo (nei suoi ingredienti, nella preparazione,
nelle regole di scambio e consumazione) è investito di un simbolismo
sociale e religioso così potente e complesso che le precauzioni da
prendere, in ciò che lo concerne, non sono mai troppe. L'alimento è uno
dei veicoli privilegiati dell'impurità, e quello del pasto è il momento
in cui si è più vulnerabili ai pericoli della contaminazione. Più
precisamente, l'opposizione fra puro e impuro si manifesta con la
massima evidenza nell'alimento, e di conseguenza in esso si concentrano
le differenziazioni gerarchiche di cui tale opposizione è il principio"[1].
Le principali norme alimentari[2]
La prima regola alimentare da rispettare
riguarda il luogo dove consumare il pasto, poiché è richiesto un luogo aperto ove siano assenti anche
tettoie o tende. Gli alimenti leciti possono poi essere consumati solo dopo
averli offerti alla Divinità.
Le bevande alcoliche, quali liquori,
vino e birra, sono considerate impure ed
è parimenti proibito il consumo di tè o caffè. Non è ammesso il consumo di
carne e ciò in forza della condanna di ogni forma di violenza e di crudeltà. Le
scritture vediche infatti prescrivono che l’uomo debba nutrirsi preferibilmente
di alimenti di origine vegetale, dovendosi astenere dall’uccidere creature per
soddisfare i propri bisogni materiali. I vegetali, per gli induisti, sono
parimenti dotati di un’anima spirituale in quanto esseri viventi ma, a
differenza degli alimenti di origine animale, si ottengono senza praticare un
atto di uccisione. La dieta vegetariana è poi riservata alle caste più elevate,
poiché i paria consumano anche la carne di cavallo. Il consumo di vegetali però
non è esteso all’aglio, alla cipolla e ai legumi. Alcune caste escludono il
consumo di carote, rape e leguminose rosse. L’uomo deve quindi preferibilmente
nutrirsi di alimenti di origine vegetale e dei derivati del latte, ma
quest’ultimo non deve essere mescolato a certi tipi di alimenti.
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