Riprendo la disamina cominciata nella sezione "Tradizione e cibo" con la cucina Indù e quella Giudaica, proponendo ora qualche nota sulle norme alimentari Cristiane che si caratterizzano per lo più con il criterio della "libertà alimentare", anche se a ben vedere Cristo, per come ci viene presentato nei Vangeli, non sembra mangiare proprio di tutto in omaggio a quel principio per cui è venuto a dare compimento alla Legge di Mosè e non ad abrogarla.
[Nell'immagine sopra Giotto, Le nozze di Cana]
Il paradigma della libertà alimentare cristiana*
[Nell'immagine sopra Giotto, Le nozze di Cana]
Il paradigma della libertà alimentare cristiana*
Il fulcro della
normativa cristiano-cattolica in materia alimentare può essere descritto da
queste sintetiche affermazioni: mangiare tutto, mangiare con tutti, ringraziare
Dio e ciò poiché, nella trazione cristiana, sulla premessa che il cibo è un
dono del Signore, non si rinviene alcuna distinzione tra cibi, o bevande,
permesse e proibite, bensì emerge una libertà alimentare che si presenta come
carattere peculiare e importante novità che distingue le chiese cristiane[1].
Deve essere
sottolineata l’assenza, nel Nuovo Testamento, di divieti che colpiscano cibi
specifici e la speciale considerazione riconosciuta ad alcuni di essi: pane,
vino e olio.
L’aspetto comunitario
della condivisione del cibo assume un ruolo centrale e il rispetto dovuto al
prossimo richiede di “non mangiare carne, bere vino o altra cosa di cui il
fratello possa scandalizzarsi”[2]. La
consapevolezza che il cibo non è solo frutto dell’attività dell’uomo, bensì è
dono del Creatore, viene manifestata nella “preghiera di ringraziamento” che
esprime lode, benedizione e riconoscenza per l’opera di Dio che, Padre, si
prende cura della vita dei suoi figli assicurando loro il nutrimento non solo
spirituale bensì anche materiale. Questo tipo di approccio alimentare è
certamente basato sul rifiuto dell’esteriorità e dell’ipocrisia rappresentate
dall’osservanza meramente formale delle regole, la quale può prescindere da un
rinnovamento interiore provocato dalla conversione del cuore. Esso rappresenta
inoltre l’esigenza di un recupero della fede autentica, che sola rappresenta il
parametro dell’appartenenza al popolo cristiano. Si osserva inoltre che le
uniche disposizioni in materia alimentare, rappresentate dalle regole
disciplinanti l’astinenza e il digiuno, vengono concepite come strumenti volti
a favorire la penitenza, il cammino di comunione dell’uomo verso Dio, e in
questo senso trascendono la dimensione puramente alimentare. La vera penitenza
infatti non può prescindere, in nessun tempo, da un’ascesi anche fisica, poiché
l’essere umano nella sua completezza deve partecipare attivamente a questo atto
religioso.
Il
digiuno consiste nell’astensione totale o parziale dal
cibo, mentre l’astinenza impone di evitare determinati alimenti e
conseguentemente il primo focalizza la quantità di cibo, laddove la seconda
attiene alla qualità e alla tipologia del nutriente[3]. Il
digiuno e l’astinenza non sono forme di disprezzo del corpo bensì strumenti per
rinvigorire lo spirito rendendolo capace di esaltare la stessa corporeità
della persona. Essi sono atti di culto che scandiscono il tempo cristiano,
costituendo parte integrante del percorso di preparazione alla celebrazione di
eventi centrali della vita del credente, il quale aspira a ripercorrere e a
commemorare le tappe cruciali dell’incarnazione divina. Il precetto del digiuno
e dell’astinenza poi, oltre a preservare i fedeli dal pericolo di lasciarsi
trattenere, nel loro pellegrinaggio verso la patria celeste, dalle cose di
questo mondo, si carica di uno scopo caritativo e altruistico poiché la Chiesa
invita, sin dai primordi, a devolvere generosamente ciò che si risparmia e di
cui ci si spoglia in opere di carità a sollievo degli indigenti e dei
diseredati.
Vi è inoltre un
ulteriore significato che astinenza e digiuno possono assumere quando diventano
umili e fiduciose suppliche dell’aiuto divino per superare prove difficili[4].
*Tratto da Laura Scopel, Le prescrizioni alimentari di carattere religioso, Edizioni Università di Trieste.
[1] Cfr. L. De Gregorio, Alimentazione
e religione: la prospettiva cristiano-cattolica, in Cibo e religioni.
Diritto e diritti, a cura di A. Chizzoniti e M. Tallachini, Università
Cattolica del Sacro Cuore sede di Piacenza, Quaderni del Dipartimento di
Scienze Giuridiche, Tricase (LE), Libellula Edizioni, 2010, pag. 47. Il volume
è scaricabile in formato elettronico dal sito <http://www.olir.it/areetematiche/libri/documents/ciboereligione_ebook.pdf>.
Sito consultato il 5 novembre 2015. Il saggio è pubblicato nella rivista Il
Diritto Ecclesiastico, 1-2, gennaio-giugno 2010, pag. 151.
[2] RM 14:21
[3][3] Si veda: anche M. Salani, A
tavola con le religioni. Cristianesimo. Bologna, Edizioni Dehaniane, 2014,
pag. 16.
[4] Papa Giovanni Paolo II proclamò
giornata di digiuno il 14 dicembre 2001 al fine di implorare la pace in quel
clima di terribile smarrimento che seguì l’attentato del 11/09/2001. Papa
Francesco, dinanzi alla tragedia della guerra in Siria, ha designato sabato 7
settembre 2013 quale giorno di digiuno e di preghiera affinché il sanguinoso
conflitto cessi e regni la pace nel mondo; tale giornata di digiuno ha
conquistato l’adesione di non cattolici, di non cristiani e anche di atei.
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