“Un sistema il
cui obiettivo fondamentale è di cercare di tratte il massimo profitto dalla
produzione di qualcosa di così indispensabile come il cibo”. Basterebbe questa
affermazione e la coscienza di cosa implica, per imporre una seria riflessione
su cosa mettiamo nel piatto. Il “dio quattrino” corrompe proprio tutto e per
riportare l’attenzione in Italia basterebbe ricordare lo scandalo della “terra
dei fuochi” da cui si è scoperto -dopo, ovviamente- che provenivano molti
ortaggi di “qualità” destinati al consumo quotidiano. La mancanza di scrupoli,
oggi contraddistingue tutti, sia coloro che fanno enormi profitti, sia i consumatori
che inebetiti da una propaganda tanto “rassicurante” quanto ingannevole che
forgia una mentalità sempre più omologata, rinunciano a qualsivoglia critica e
si lasciano imporre il dictat del “mangia e tâs” (mangia e taci).
Sappiamo
che cosa mangiamo?
di Esther Vivas
Se una volta ci
vendevano carne di gatto per coniglio, oggi ci vendono carne di cavallo per
carne di marzo. Sapere che cosa mangiamo è diventata una cosa sempre più
difficile. Il recente scandalo alimentare scatenato dalla scoperta di carne di
cavallo in prodotti nei quali ci sarebbe dovuto essere carne di manzo non fa
che mettere ulteriormente in evidenza questa difficoltà. Cannelloni “La
Cocinera”; hamburger di Eroski; ravioli e tortellini di carne Buitoni, polpette
della Ikea non sono che alcuni dei prodotti che sono stati ritirati dal
mercato. A conferma che noi tutti non abbiamo nessuna idea di quello che
mangiamo.
L’Irlanda e la
Gran Bretagna sono state le prime a individuare DNA di cavallo negli hamburger
etichettati, teoricamente, come contenenti carne bovina. Supermercati come
Teso, Lidl e Aldi, e persino il re degli hamburger Burger King, si sono visti
costretti a ritirare questi prodotti dalle loro strutture commerciali,
mentre in Spagna, il governo continuava a negare l’esistenza di casi simili.
Eppure, qualche settimana più tardi, l’Organizzazione dei consumatori e degli
utenti (OCU) scopriva carne di cavallo negli hamburger di Ersoskie di
AhorraMas.
Tutto questo è
una chiara conseguenza della globalizzazione alimentare, della delocalizzazione
dell’agricoltura e degli alimenti che viaggiano da un posto all’altro. Presto o
tardi, le conseguenze di questi scandali arriveranno anche da noi. Il ministero
spagnolo dell’agricoltura, dell’alimentazione e dell’ambiente alla fine ha
dovuto riconoscere l’esistenza di carne di cavallo in prodotti venduti come
carne di vitello. E multinazionali come Nestlé, tra le altre, hanno ritirato i
prodotti in questione.
A dispetto del fatto che la sostituzione di una carne
con l’altra non porta pregiudizio alla nostra salute, questi casi fanno
squillare un campanello d’allarme su quello che mangiamo e su chi tira le fila
del sistema alimentare. Una volta ancora tutto ciò dimostra come gli interessi
economici di un pugno di imprese dell’agroindustria si impongo a scapito dei
bisogni alimentari delle persone. Così, se per loro produrre carne di cavallo
costa meno, troverete del cavallo nel vostro piatto.
Inoltre,
scoprire dove la frode ha preso inizio diventa una missione impossibile in una
catena agroalimentare nella quale, secondo un rapporto degli Amici della Terra,
i prodotti alimentari percorrono in media 5000 km prima di arrivare nel nostro
piatto. Un hamburger può essere stato fatto con la carne di diecimila mucche e
passare attraverso cinque paesi diversi prima di arrivare al supermercato. Dove
e quando vi si è intrufolato il cavallo? L’Irlanda ha dapprima accusato la
Spagna e in seguito la Polonia. Quando il caso è scoppiato in Francia, il
colpevole era una ditta del Lussemburgo che, a sua volta, ha segnalato che la
carne veniva dalla Romania. E quest’ultima ha dichiarato che la merce le
arrivava da Cipro e dall’Olanda. Impossibile conoscere la verità.
La storia si
ripete. E ogni volta che sorge un nuovo
scandalo, assistiamo all’incrociarsi di accuse, di allarme sociale,
d’impossibilità di conoscere l’origine, ma anche a tonnellate di alimenti
buttate nei rifiuti. Fu il caso con l’ Esterichia Coli nei cetrioli, e
ancora prima con i polli alla diossina, con la mucca pazza, la peste dei
maiali, e una lunga serie di “eccetera”. E questo si ripeterà di nuovo.
Poiché si tratta dell’altra faccia di un sistema alimentare che ci vien venduto
come il migliore possibile ma che, in realtà, non funziona, ed è incapace di
alimentarci in modo sano , di essere trasparente, oltre a non essere in grado
di porre fine alla fame nel mondo.
Questi scandali
alimentari sono il risultato di un modello produttivo delocalizzato,
chilometrico, petrolio-dipendente, che fa a meno della presenza di un solo
contadino, intensivo e fortemente dipendente dall’uso di pesticidi, un sistema il cui obiettivo fondamentale è
di cercare di tratte il massimo profitto dalla produzione di qualcosa di così
indispensabile come il cibo. Anche l’influenza dei maiali e l’influenza
aviaria hanno la loro origine in fattorie di allevamento intensivo su grande
scala, nel quale gli animali sono ammassati gli uni sugli altri, subiscono un
trattamento abusivo e crudele, vengono allevati con forti dosi di antibiotici e
sono trattati come delle merci.
Oggi la catena
alimentare, che vede da una parte il contadino/produttore e dall’altra il
consumatore, si è allungata a tal punto che nessuno dei due può avere influenza
su di essa. La nostra alimentazione è nelle mani di imprese che monopolizzano
ognuna degli anelli della produzione, della trasformazione e della
distribuzione dei prodotti alimentari, dalle sementi fino ai supermercati, e
che impongono le loro regole del gioco. E se il nostro diritto
all’alimentazione resta nelle mani di imprese come Cargill, Dupont, Syngenta,
Monsanto, Kraft, Nestlé, Procter&Gamble, Mercadona, Alcampo, El Corte
Inglés, Carrefour… è chiaro che questo diritto, come ci mostra la realtà, è
tutt’altro che garantito.
Abbiamo una sola
alternativa: riappropriarci le politiche agricole e alimentari. Esigere quello
che troppo spesso ci viene negato sia come persone che come popoli: il diritto
di decidere, la sovranità, e in questo caso la sovranità alimentare. E
ridiventare padroni della nostra agricoltura e della nostra alimentazione.
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