La scorsa
settimana ci siamo interrogati: “Sappiamo cosa mangiamo?”. Oggi proviamo a
leggere una delle risposte possibili: il rifiuto del consumo globale tout court
e il recupero della “capacità di decidere in merito a produzione, distribuzione
e consumo, dei principali attori coinvolti in questo processo: i contadini e i
consumatori”. Proprio queste ultime due categorie invece sono le grandi assenti
dalla visione liberista dell’economia che le considera solo come polli d’allevamento
che producono e consumano se stessi in un loop interminabile, passando dallo
stato di persone a quello di cose. Se ci pensiamo bene infatti la speculazione
finnanziaria dopo essersi mangiata il denaro della gente, ha cominciato a mangiare
il suo cibo e ora in una foga “cannibalizzatrice” il cui marchio la dice lunga sulle finalità
che si propone, ha cominciato a mangiarsi le persone stesse, perché se ci si
pensa bene, quando si introduce sul mercato un nuovo prodotto di basso valore,
a farne le spese sono proprio i produttori e i consumatori defraudati. Ma
questo passa il convento oggi. I gruppi e le cooperative di consumo
agro-ecologici, che negli ultimi anni si sono moltiplicati ovunque, sembrano un
primo passo nella direzione di riappropriarsi di ciò che per diritto naturale
ci spetta: l’alimento.
Gruppi di consumo:
recuperare la capacità di decidere cosa consumare
recuperare la capacità di decidere cosa consumare
di Esther Vivas
Cosa mangiamo?
Da dove viene, come è stato trasformato e quale prezzo paghiamo per quello che
compriamo? Sono domande che sempre più cittadini consumatori si pongono. In un
mondo globalizzato, dove la distanza tra contadino e consumatore si è allungata
fino al punto in cui entrambi non hanno praticamente alcun impatto sulla catena
alimentare, sapere quello che mettiamo in bocca importa di nuovo, e molto.
Lo dimostrano le
esperienze di gruppi e cooperative di consumo agro-ecologici, che negli ultimi
anni si sono moltiplicati ovunque. Si tratta di recuperare la capacità di
decidere in merito a produzione, distribuzione e consumo dei principali attori
coinvolti in questo processo, i contadini e i consumatori. Che in altre parole
si chiama «sovranità alimentare». Ciò significa che, come implica la parola,
essere «sovrani», avere la capacità di decidere quando si tratta di nostro cibo
(come spiega bene Annette Aurelie Desmarais in «La via Campesina. La
globalizzazione e il potere dei contadini», Jaka book).
Qualcosa che può
sembrare molto semplice, ma in realtà non lo è. Dal momento che oggi il sistema
agricolo e alimentare è monopolizzato da una manciata di aziende del settore
alimentare e della distribuzione per imporre i propri interessi, fare affari
con il cibo, contro i diritti degli agricoltori e le esigenze della gente per
il cibo. Solo questo può spiegare come ci sia così tanto cibo e tante persone
senza cibo. La produzione alimentare dagli anni Sessanta ad oggi è triplicata,
mentre la popolazione mondiale da allora è solo raddoppiato, ma anche così,
quasi 900 milioni di persone, secondo la Fao soffrono la fame. Evidentemente,
qualcosa non va.
Alcune
caratteristiche
I gruppi e le
cooperative di consumo presentano un modello di agricoltura e di antagonismo
con il potere dominante. Il loro obiettivo: accorciare la distanza tra
produzione e consumo, eliminando gli intermediari, e stabilire una relazione di
fiducia e di solidarietà tra le due estremità della catena, tra la campagna e
la città; sostenere l’agricoltura contadina e la prossimità per la cura della
nostra terra e per difendere una mondo rurale vivo con il proposito di poter
vivere dignitosamente del campo; promuovere l’agricoltura biologica e di
stagione, rispettosa e consapevole dei cicli della terra. Nella città, inoltre,
queste esperienze aiutano a rafforzare il tessuto locale a generare
comprensione reciproca e a promuovere iniziative basate sulla auto-gestione e
auto-organizzazione.
In realtà, la
maggior parte dei gruppi di consumatori si trovano in aree urbane, dove la
distanza e la difficoltà di contattare direttamente i produttori è più grande,
e così, la gente di un quartiere oppure di una città si uniscono per effettuare
«consumi alternativi». Ci sono diversi modelli: quelli nei quali il produttore
propone un paniere settimanale, chiuso, con frutta e verdura, o quelli in cui
il consumatore può scegliere ciò che vuole consumare degli alimenti di
stagione, offerti ed elencati dall’agricoltore o dagli agricoltori. Inoltre,
sul piano giuridico, troviamo gruppi per lo più organizzati in associazioni e
alcuni, le esperienze più consolidate e durature, in cooperative.
Un po’ di
storia
... … … Oggi
queste iniziative si sono consolidate e sono aumentate in modo molto
significativo, un processo difficile da quantificare a causa delle loro
caratteristiche.
L’aumento di
queste esperienze risponde, dal mio punto di vista, a due questioni centrali.
Da una parte, una preoccupazione sociale crescente su ciò che mangiamo, con la
proliferazione degli scandali alimentari degli ultimi anni, come la malattia
della mucca pazza, i polli alla diossina, l’influenza suina… Mangiare, e
mangiare bene, importa ancora. E, dall’altra parte, la necessità di molti
attivisti sociali che cercano alternative nella vita di tutti i giorni, al di
là di mobilitarsi contro la globalizzazione neoliberista e i suoi creatori. Per
questo, subito dopo la comparsa del movimento anti-globalizzazione e contro la
guerra, nei primi anni 2000, una parte significativa di persone che hanno
partecipato attivamente in questi spazi hanno promosso o sono entrati a far
parte di gruppi di consumatori agro-ecologici, reti di mutualità, media
alternativi, ecc.
Mangiare
bene e cambiamento
Così, osserviamo
due sensibilità che spesso integrano queste esperienze. Una delle scommesse, in
termini generali, è «mangiare bene», dando maggior peso ai problemi di salute,
un’altra scommessa, nonostante prenda in considerazione questi elementi,
sottolinea ulteriormente la natura politica e trasformativa di queste
iniziative. Ecco la sfida dei gruppi e delle cooperative di consumatori,
pretendere cibo sano e salutare per tutti. Che implica non perdere di vista la
prospettiva politica del cambiamento.
Se vogliamo che
l’agricoltura sia senza pesticidi o Ogm è necessario cominciare a chiedere il
divieto di colture geneticamente modificate allo Stato, porta d’entrata e
paradiso degli Ogm in Europa. Se vogliamo un’agricoltura locale, che non
contamini l’ambiente, con gli alimenti che percorrono migliaia di chilometri di
distanza è essenziale la riforma agraria e una banca pubblica della terra,
invece di speculare sul territorio occorre renderlo accessibile a coloro che
vogliono vivere per lavorare la terra. In breve, o cambiamo radicalmente questo
sistema oppure il «mangiare bene» diventerà un privilegio disponibile solo per
chi può permetterselo.
I gruppi di
consumatori sono solo un primo passo per muoversi verso «un’altra agricoltura e
altri prodotti alimentari», ma bisogna andare oltre e mettere in discussione il
sistema politico ed economico che sostiene il modello agricolo attuale. Il
cibo, come la casa, la salute, l’educazione… non si vende, si difende.
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