sabato 24 marzo 2018

TRADIZIONE E CIBO - VALORE SIMBOLICO DEL CIBO: IL CIBO DELLE FESTE EBRAICHE


Proseguo la trattazione inerente il significato del cibo nella Tradizione ebraica, prendendo sempre a prestito dal saggio di Laura Scopel (Le prescrizioni alimentari di carattere religioso); esaminaniamo ora la valenza spirituale delle feste ebraiche, il loro significato simbolico e i cibi che imbandiscono le tavole e vengono consumati.

L’alimentazione ebraica ha certamente assunto un ruolo importante nella difesa della coesione del gruppo, sia nel contesto familiare che in quello più ampio della comunità, contribuendo a rafforzare l’identità collettiva distinguendola dalle altre.
Gli aspetti più significativi dell’importanza dei costumi alimentari nel processo di costruzione di percorsi identitari, individuali e collettivi, ispirati ai valori dell’Ebraismo, si rinvengono durante la celebrazione delle feste liturgiche.

Nella giornata del Sabato, dedicato al riposo settimanale (Shabbàt)[1], si consumano cibi prelibati, preparati in anticipo e la tavola attorno a cui si raccolgono familiari e ospiti viene apparecchiata in modo speciale contribuendo così a interrompere il tempo ordinario di ciascun ebreo che, con l’arrivo della festa, viene proiettato in un clima di qedushàh, di sanità personale. I tre pasti sabbatici obbligatori comprendono cibi particolari che potrebbero sembrare contraddittori rispetto al contesto del momento, che invita all’elevazione spirituale, invece la fusione tra aspetto corporale e spirituale manifesta la meravigliosa completezza del Sabato: il mondo materiale (chol) partecipa della santità (Kedushà) del mondo superiore e l’Onegh shabbat (il piacere e la gioia del Sabato) spinge l’uomo a cantare le zemiroth (i canti del Sabato). Il corpo e l’anima, nell’Ebraismo, sono infatti concepiti come entità funzionali e conseguentemente l’alimentazione equilibrata, presupposto di un corpo sano e appagato, risulta condizione fondamentale per l’elevazione del proprio spirito.

La festa di Pesach, la Pasqua ebraica, commemora la fuga del popolo ebraico dall’Egitto e la fine della schiavitù ed è caratterizzata proprio da una cena, il seder (ordine), che viene consumata con parenti e amici unendo il consumo di cibi a canti e preghiere. I cibi rituali che vengono preparati per il seder sono: tre focacce di pane azzimo (mazzot), dell’erba amara (che in Italia è di solito lattuga o sedano), un impasto dolce di frutta fresca e secca (charoset), dell’aceto o succo di limone o dell’acqua salata, uno zampetto d’agnello e un uovo sodo. La zampa d’agnello ricorda il sangue d’agnello con cui gli ebrei tinsero gli stipiti delle loro porte e non viene consumata in segno di lutto per la distruzione del Tempio di Gerusalemme, ove si offrivano i sacrifici pasquali. Il charouset, essendo un impasto di frutta dal sapore dolce il cui aspetto ricorda la malta e la paglia con cui gli ebrei costruivano i mattoni in Egitto, è al contempo simbolo di schiavitù e di libertà. Le erbe vengono intinte due volte: prima nell’aceto (o nell’acqua salata o limone) per ricordare l’amarezza della schiavitù e successivamente nel charoset per rammentare la dolcezza della libertà. L’uovo, per la sua forma tondeggiante, rappresenta la circolarità della vita e la rinascita e inoltre, dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, sostituisce l’agnello che in origine veniva sacrificato. Il pane azzimo, non lievitato e quindi duro, è principalmente ricordo dell’urgenza con cui gli ebrei sono partiti dall’Egitto e quindi rappresenta l’urgenza della libertà ma anche la durezza della schiavitù. Il lievito, nella tradizione rabbinica, essendo anticamente ottenuto dalla vecchia pasta di pane, rappresenta tutto ciò che essendo vecchio non deve essere portato nel viaggio verso la libertà.

La festa di Schavuot (Pentecoste) commemora il dono della Toràh nel Sinai e richiede il consumo di latticini, poiché la tradizione narra che, mentre Mosè si trovava sul monte Sinai, gli ebrei avessero preparato un ricco banchetto a base di carne che non venne consumato in osservanza dei precetti alimentari rivelati a Mosè e al posto del quale venne apprestato un pasto a base di latticini.

La festa di Chanukah (inaugurazione) ricorda la ri-dedicazione del Tempio di Gerusalemme dopo la profanazione operata da Antioco IV Epifane, in occasione della quale l’olio necessario per la riconsacrazione del Tempio ebbe a durare miracolosamente molti giorni sopperendo in tal modo alla penuria dello stesso. È usanza consumare cibi fritti nell’olio a ricordo dell’intervento della Provvidenza Divina che fece durare a lungo l’olio, puro e appositamente preparato, necessario ad accendere il candelabro a sette braccia (Menorah).

Il significato del cibo nelle ricorrenze religiose, quindi, assume un valore simbolico che supera la sua stessa natura di nutrimento, materiale e spirituale, come avviene nella festa del Kippur o durante il Purim. Invero il digiuno praticato in forma espiatoria, nella festa del Kippur, annulla la parte materiale della vita, mentre durante il Purim è consentito un approccio disinibito al cibo che può essere assunto, unitamente alle bevande, fino a perdere cognizione delle cose.
Gli alimenti adoperati nelle festività ebraiche sono anche strumento della memoria storica del popolo di Israele, poiché rimandano a episodi lontani nel tempo: la matzà (azzima), il pane schiacciato simbolo della povertà e dell’afflizione mangiato a Pesach, quando si ricorda l’esodo dall’Egitto; la chametz (le sostanze lievitate) vietate a Pesach e che rappresentano anche superbia e violenza; il maror (l’erba amara) simbolo della schiavitù che funge da monito a non incorrere negli stessi errori del passato.


[1] Il Sabato, in cui si ricorda il riposo di D-o dopo la creazione, assolve a una funzione riequilibratrice che libera l’uomo da un’esistenza proiettata esclusivamente nel mondo della creatività fisica e lo inserisce in quello della creatività spirituale e sociale. Cfr. Scialom Bahbut, Shabbat: lo sposo di Israele, in <http://www.morasha.it/zerut/sb13_shabbat.html>, citato da S. Dazzetti, op. cit., pag. 148.

Nessun commento:

Posta un commento